Intervista a Tommaso Muracchioli – USD Don Bosco Fossone

Mi chiamo Tommaso e gioco mezzala nell’under 17 del Don Bosco Fossone. Il primo ricordo che ho con il pallone fra i piedi è all’età di 3 anni. Mio nonno mi portava nella strada sotto l’orto di casa sua, in un paesino dell’interno sopra Carrara, e mi faceva giocare a calcio con alcuni bambini che abitavano nelle case vicine. Non era un campo vero: giocavamo sul cemento e i pali delle porte erano dei sacchetti o dei mattoni che i nonni ci aiutavano a sistemare. Giocare a calcio in strada è una passione che ho continuato a praticare anche negli anni successivi, ai tempi delle elementari, quando avevo già iniziato a giocare le partite ufficiali nei Pulcini del Don Bosco Fossone. Però il gioco libero è troppo bello, soprattutto da bambini! I genitori o i nonni ci guardavano sì, ma da lontano, ai giardinetti dove si improvvisavano delle super-partite mollando gli zaini per terra non appena uscivamo da scuola. Nel gioco libero non ci sono schemi e non c’è paura di sbagliare. E’ lì che si imparano i fondamentali del calcio. Per questo è un peccato che oggi il gioco libero si pratichi così poco. Io sono stato fortunato, ad aver avuto la possibilità di giocare per strada, in piazza, nei parchi o sulla spiaggia per così tanto tempo, da bambino. E poi sono stato fortunato a trovare una società di calcio nella mia città come il Don Bosco Fossone: qui da noi un pochino lo spirito del gioco libero esiste ancora, anche da grandi. Certo, vogliamo vincere, c’è la tattica, bisogna stare concentrati. Però quando si sbaglia o si perde nessuno ti fa il processo. Siamo liberi di sbagliare e non rischiamo mai di perdere la gioia del gioco.

Di questa aria speciale che si respira a Fossone me ne sono reso conto quando due anni fa mi venne voglia (così, per sfizio) di cambiare squadra. Tempo pochi mesi e subito sentii la nostalgia di “casa”: mi mancava il gruppo squadra, ma mi mancavano soprattutto il divertimento e la leggerezza; con tanta cura ma senza nessuna paura e senza prendersi troppo sul serio. Così ho di nuovo cambiato idea e sono tornato nella mia squadra del cuore. L’allenatore dello scorso anno, appena sono tornato qui a Fossone, mi ha cambiato ruolo: da terzino a mezzala. Il mister si era accorto che negli uno contro uno ero troppo lento. Invece nel controllo di palla, nel passaggio filtrante e nei cambi di gioco me la cavo bene, e anche negli inserimenti a chiudere le azioni arrivando in area da dietro, sfruttando il buon tiro che mi ritrovo. Così è da più di un anno ormai che mi diverto tantissimo, nel ruolo che sento davvero mio, e con la possibilità di fare gol e di vivere l’emozione più bella che c’è nel nostro gioco preferito. In questa stagione la nostra squadra è iscritta al campionato provinciale di Massa-Carrara della categoria under 17, con l’obiettivo di provare a vincerlo. Inoltre sempre in questa stagione la nostra squadra è stata scelta per partecipare al progetto Non Solo Piedi Buoni, che ha creato un gemellaggio fra noi del Fossone Allievi e i nonni del circolo pensionati di Marina di Carrara. Il giorno in cui, insieme ai miei compagni Tommaso e Nicholas, sono andato al primo appuntamento di questo incontro speciale fra carrarini di generazioni opposte, ero un pochino preoccupato. Sono timido di carattere, vedevo queste persone anziane giocare a carte con tanto accanimento, e ho pensato: “E ora come facciamo a fare amicizia?”. Ci siamo fatti forza e abbiamo chiesto a questi nonni, diversi dei quali non sapevano del nostro progetto, se volevano farci entrare in una briscola a 4, e da lì è stato bellissimo: ci siamo mescolati su tavoli diversi e abbiamo riso tutti insieme. Poi sono arrivati altri nonni, del gruppo di poesia del circolo, che invece sapevano del nostro arrivo e ci hanno accolto nella loro sala. Il protagonista è stato Antonio, un professore di inglese in pensione che ci ha raccontato la sua infanzia a Marina di Carrara, facendoci vedere i giochi che si facevano prima dell’era dei videogames. Fionde, biglie, figurine, ma anche fughe di nascosto dentro cantieri abbandonati, e anche tante giornate d’estate trascorse ad aiutare il babbo barbiere nella sua bottega e a lavorare (sempre da ragazzino) in uno stabilimento balneare in estate. Mi ha colpito tanto l’inventiva e la creatività che Antonio e gli altri nonni avevano nell’escogitare tutti questi giochi con tanto di frasi in dialetto e regole personalizzate. E infine don Tommaso (il diacono della Figc che ha inventato questo progetto) e Antonio ci hanno invitato a salire sulla Panda prestataci per l’occasione dal nostro presidente del Fossone, Giorgio, per spostarci nel cuore di Marina di Carrara e farci insegnare da Antonio tutti i particolari e i luoghi della storia della sua infanzia che ci aveva appena raccontato: la fontanella dove la mamma andava a prendere l’acqua che in casa non avevano esiste ancora, nella via principale del centro abitato che si chiama Ruga Maggiani. Con un po’ di immaginazione io e i miei due compagni di squadra ci siamo immaginati la nostra città senza automobili, senza supermercati, con tanti negozi e con tanti bambini a giocare in strada. Io sono contento di vivere nel tempo di oggi, con tutte le tecnologie e le possibilità di conoscere e di muoverci a nostra disposizione che prima non c’erano, però un po’ di quello spirito di avventura che ci ha trasmesso Antonio nei suoi ricordi da bambino vorrei che si potesse recuperare: con le ginocchia più sbucciate, con qualche piccolo pericolo in più da correre fuori casa, ma anche con tanta voglia di vivere e di sentirsi a casa nella nostra Carrara.

Intervista a Lucio Severini – Nuova Grosseto Barbanella

Mi chiamo Lucio e sono il terzino sinistro della squadra Juniores della Nuova Grosseto Barbanella. Sono contento di abitare, studiare e giocare a calcio a Grosseto. La nostra è una città che almeno secondo me è la giusta via di mezzo fra paese troppo piccolo e metropoli troppo caotica. Abbiamo il mare che d’estate ci fa sentire aria di vacanza anche quando restiamo a due passi da casa ed in più abbiamo tanti servizi, tanti ritrovi, tante scuole (la mia è l’istituto agrario con indirizzo enologia) e soprattutto diverse squadre di calcio. Io ne ho girate tre, di squadre di pallone di Grosseto, e a ognuna di queste devo dire grazie per un motivo o per un altro.

Nella prima, la Giovani Calciatori, ho vissuto l’emozione dell’inizio, con le prime partitelle della scuola calcio. Nella seconda, l’Invicta Sauro, ho avuto la fortuna di incontrare uno degli allenatori che mi hanno insegnato di più, mister Pratesi: un tecnico molto giovane che durante l’anno si ritagliava tanti momenti per chiacchierare a tu per tu con noi ragazzi. Chiacchierate importanti, almeno per me, che parlando con l’allenatore ho imparato a conoscermi meglio, a maturare caratterialmente e umanamente. Ce ne vorrebbero tanti, di mister così: che “perdono” tempo coi ragazzi fermandosi a parlare con loro non solo di calcio, ma anche della vita. E poi c’è la squadra più importante, la Nuova Grosseto, dove ho giocato la maggior parte delle mie partite e dove sono tuttora: negli ultimi anni ho cambiato diversi ruoli e ora tutti mi descrivono come un cursore di fascia molto versatile, che se la cava sia a difendere che ad attaccare, e che si adatta a giocare anche sulla fascia sinistra pur essendo il mio piede preferito il destro.

Alla Nuova Grosseto ho vissuto l’emozione bellissima, lo scorso anno, di un campionato vinto al termine di uno scontro diretto all’ultima giornata. E quest’anno un’altra emozione grande: la mia prima stagione con la fascia da capitano al braccio! In questa annata speciale da neopromossi in un campionato regionale, fra l’altro, abbiamo appena vissuto l’emozione della prima vittoria: un 3-0 da stropicciarsi gli occhi in casa contro il Castiglioncello; e proprio oggi è arrivata un’altra emozione, con l’inizio del gemellaggio di “Non Solo Piedi Buoni” fra la nostra squadra e l’associazione La Farfalla, che qui a Grosseto si occupa di stare vicino a persone malate di tumore o affette da altre patologie gravi.

Prima di venire qui non sapevo bene cosa aspettarmi. Ero curioso ma anche completamente all’oscuro di tutto, come quando vai all’interrogazione senza avere studiato. Insieme a due miei compagni di squadra ho passato due ore nella sede dell’associazione in compagnia di Loriana, che da brava presidentessa ci ha presentato a grandi linee le varie aree di intervento della Farfalla: gli infermieri e le psicologhe che ci lavorano, i tanti volontari come lei che danno una mano, i macchinari per la terapia Scramble a cui i pazienti si sottopongono per lenire il dolore della chemioterapia tramite impulsi elettrici in determinate parti del corpo. E poi è venuta a trovarci Lazara, una signora brasiliana che sta facendo chemioterapia da diversi mesi e che domani si sottoporrà a un delicato intervento chirurgico. “Sono qui in Italia da 40 anni, ho abitato prevalentemente a Roma e dintorni facendo la baby sitter, la colf e la badante”, ci ha raccontato Lazara: “Quando ho scoperto di avere il cancro, sei mesi fa, mi trovavo a lavorare nella seconda casa di una signora romana qui vicino a Grosseto, a Porto Ercole. Così recandomi all’ospedale più vicino e facendomi seguire dagli oncologi di questa città è venuto naturale fermarmi qui. Devo tutto all’associazione La Farfalla, che mi ha dato un mini-appartamento gratuito quando io altrimenti non avrei potuto prendere una casa in affitto, e che mi fa sentire in famiglia anche se la mia famiglia si trova in Brasile, dall’altra parte del mondo”. La storia di Lazara ci ha colpito per la sua serenità e la sua capacità di apprezzare la vita anche dentro una malattia grave che le ha fatto perdere i capelli e tante sicurezze riguardo il suo futuro. Abbiamo capito che questo progetto della Figc è una cosa molto seria e molto utile. Ascoltare le storie dei malati e di chi se ne prende cura ci prepara ad affrontare queste sfide quando ci ritroveremo a essere noi gli amici stretti o i familiari di una persona che soffre. Stare lontani da queste storie facendo finta che non esistano ti fa finire nel panico quando improvvisamente ti ritrovi in prima linea. Conoscere le persone che vengono qui alla Farfalla invece fa capire che anche durante la malattia una vita dignitosa può comunque esistere, e che questa dignità dipende da noi, se siamo bravi oppure no a non fare sentire solo chi la malattia si trova ad affrontarla.

Intervista a Niko Marchesini – ASD Orlando Calcio Livorno

Mi chiamo Niko e sono il terzino destro della squadra Allievi dell’Orlando calcio. La passione per questo sport me l’ha trasmessa mio nonno; fu lui infatti a portarmi per primo al campino di calcetto del Gabbro, un paese di poche centinaia di persone arrampicato su una collina subito dietro Livorno. Un paese dove si conoscono tutti, dove i bambini giocano a qualsiasi gioco insieme ai ragazzetti di età diverse perché altrimenti non si arriverebbe mai a fare numero. Un paese dove il ritrovo è per tutti un bar chiamato “il circolino”, e dove tutti da piccini hanno iniziato a giocare a pallone su un campino di cemento disastrato ma che rimarrà per sempre nei nostri cuori. Vedi queste striature sugli stinchi? Me le feci da bimbo un po’ di anni fa sbucciandomi proprio sul campino di cemento del Gabbro e i segni mi sono rimasti ancora oggi. Troppo bello!!

Oggi il campino è diverso dai nostri tempi. C’è il sintetico, il fondo è morbido, non ci si fa più male come prima. Io ovviamente continuo a giocarci e ci gioco volentieri, quando facciamo le partitelle in paese. E’ di sicuro un campino più bello, ma io non so bene perché (sarà la nostalgia) un po’ rimpiango il mio vecchio campino di cemento dove mi portava nonno a fare i primi passaggi quando avevo 4 anni. Il campino dove ho vissuto tutte le mie esperienze calcistiche fino agli anni delle medie, quando mi sono iscritto nell’Orlando ed ho conosciuto finalmente il calcio a 11. Fino alle elementari non sono riuscito a liberarmi dai consigli della mamma, che ha voluto a tutti i costi che facessi nuoto, e ancora oggi la ringrazio di questo, perché così al mare qui a Livorno con gli amici faccio bella figura ogni volta che ci tuffiamo in acqua. Però la mia passione vera era e resta il calcio. Perché fra le tante società sportive di Livorno ho scelto l’Orlando Calcio? Semplice: giocare nell’Orlando costa pochissimo, rispetto a tutte le altre squadre di Livorno, e questo i miei genitori lo sapevano bene al momento di iscrivermi. La convenienza ha fatto la differenza. E poi il campo dell’Orlando era comodo da raggiungere per i miei genitori quando mi accompagnavano partendo dal Gabbro: dopo il discesone attraversi Coteto e subito sei a Corea, al campo Pitto.

Già, il campo Pitto. Che campo, ragazzi. Terra, terra, soltanto terra, senza neanche un filo d’erba. E poi un campo esageratamente lungo. Soprattutto le prime volte mi faceva paura, mi sembrava interminabile. Ma ora che ci ho fatto l’abitudine non lo cambierei con nessun altro campo al mondo. Faccio il terzino destro in un 4-3-1-2: ho tanta resistenza fisica, quindi non ho problemi a fare su e giù per la fascia per tutti i 90 minuti. Eppure dovete sapere che fino a due anni fa giocavo in porta. Poi due anni fa ho cambiato allenatore e ho cambiato anche ruolo. Per me fu la felicità: finalmente potevo andare all’attacco e provare ogni tanto a fare gol. Il primo gol in partite ufficiali è quello che non si scorda mai: torneo a San Frediano, derby contro il Pro Livorno Sorgenti; loro facevano gli splendidi prima della partita, erano convinti di stravincere e noi all’epoca non avevamo una grande fama. Invece quella sera cominciammo a mille a facemmo gol subito. E poi, sempre nel primo tempo, ecco il mio momento di gloria: disimpegno sbagliato della difesa avversaria, la palla mi arriva in fascia, poco fuori dall’area di rigore. Penso che sì, posso provare una “micciata”: carico il destro pensando solo alla potenza; viene fuori un tiro non tanto angolato, ma che piega le mani al portiere e clamorosamente si insacca; 2-0. Esultanza alla rete con i miei genitori e con mio nonno (mio primo tifoso) venuto a vedermi fin là. Poi l’abbraccio con i compagni, e l’Orlando che a fine partita vince 2-1. Libidine.
Quest’anno siamo una buona squadra, molto più organizzata che nei miei primi anni all’Orlando. Mister Valerio dice che ce la giocheremo a metà classifica, ma intanto alla prima di campionato abbiamo vinto con il Vada e ora non ci vogliamo certo fermare. Questo è un anno speciale anche per il gemellaggio appena iniziato con la casa famiglia Papa Francesco di Quercianella dove oggi ho passato tutto il pomeriggio con due miei compagni di squadra. Da un paio di settimane noi degli Allievi dell’Orlando, su invito della Figc, abbiamo iniziato a mescolarci con gli undici bimbi della casa famiglia e con le educatrici e volontarie che si prendono cura di loro ogni giorno. Oggi ho aiutato un bimbo di terza elementare a fare un esercizio sulle tabelline, e poi abbiamo disegnato e colorato tutti insieme gli addobbi da usare in una festa di compleanno dei prossimi giorni qui in casa famiglia, poi ovviamente è spuntato fuori un pallone in giardino e abbiamo visto all’opera un bimbo bravissimo che vedrei bene nei Pulcini dell’Orlando. Mi ha colpito vedere che a parte noi giovani calciatori, le educatrici e le volontarie che si prendono cura dei bimbi sono tutte donne. Chissà perché nei lavori con i bambini gli uomini si danno quasi sempre alla macchia. A me invece piace un sacco stare con i bimbi. Ho il pregio di riuscire a far ridere tutti. Non a caso al circolino del Gabbro mi chiamano “il clown”. E’ bello vedere questi bimbi sorridenti e felici sapendo che arrivano da situazioni familiari difficilissime e che vivono lontani dai loro genitori a causa del provvedimento di un giudice. E’ bello nel nostro piccolo contribuire all’armonia di questa casa speciale che ha il mare subito dietro le finestre e che aiuta i bimbi a rinascere. Non vedo l’ora che suor Raffaella e tutta la truppa della casa Papa Francesco vengano a fare il tifo per noi un sabato al campo Pitto. Quel giorno giocheremo anche per loro, e sarà un’emozione nell’emozione. E se segnassi di nuovo io, proprio quel giorno lì? L’esultanza per i bimbi e per noi sarebbe di livello altissimo, da vero livornese.

Intervista a Ennio Arcangeli – US Sales

Mi chiamo Ennio e sono un attaccante della squadra Allievi under 17 della Sales. Sono arrivato alla Sales solo pochi mesi fa. Come tanti ragazzi di Firenze, di squadre ne ho girate diverse tra l’infanzia e l’adolescenza, sfruttando il fatto che in una grande città c’è l’imbarazzo della scelta: in ogni quartiere una squadra, o anche più di una. Mi piacciono le nuove sfide e sono curioso di scoprire sempre nuovi campi di allenamento, nuovi allenatori e nuovi compagni di squadra. Dopo tutto il mio girovagare ormai su ogni campo e in ogni partita, incrocio fra gli avversari qualche ragazzo che in passato ha giocato con me: Dopolavoro Ferroviario, Gavinana, Firenze Sud… e in un anno addirittura ho cambiato non la squadra ma lo sport, passando dal calcio al pugilato. Il ring mi affascinava, ma poi mi sono reso conto che non ero fatto per fare a cazzotti e che la mia vera passione era il pallone. E così quest’anno eccomi alla Sales, e chissà che non sia la volta buona per fermarmi. L’avvio di campionato è stato difficilissimo, tre sconfitte di goleada nelle prime tre partite. E poi la bruttissima notizia della malattia del nostro portiere Martino, che io prima di arrivare nella Sales non conoscevo ma con cui ho impiegato pochissimo tempo per farci amicizia. Speriamo come squadra di riuscire a stargli vicino e a regalargli un po’ di buonumore. Io, a proposito, sono uno che riesce a scherzare e a sdrammatizzare anche nei momenti più difficili: è quello il mio ruolo, nello spogliatoio. Sono quello che te la fa prendere bene e ti strappa un sorriso anche quando gli altri hanno i musi lunghi. Anche perché prima o poi arriveranno le avversarie alla nostra portata, e prima o poi torneremo a giocare nel nostro campo di casa di via Gioberti che fino a ora non ho mai assaggiato da giocatore della Sales, visto che c’erano i lavori di rifacimento dell’erba sintetica. Il nuovo terreno è spettacolare, mi ha fatto vedere ora una foto il presidente, già dalla prossima settimana potremo allenarci lì. Fra l’altro inaugurare un campo di calcio non è una cosa da tutti i giorni. Non vedo l’ora!

In questa nuova esperienza alla Sales uno dei regali più belli che mi sono arrivati è il gemellaggio che ci ha proposto la Figc fra la nostra squadra Allievi e gli ospiti dell’albergo popolare. Per me è un’emozione particolare perché io abito proprio a un passo dal centro di accoglienza per persone senza casa dove con i miei compagni di squadra abbiamo iniziato a trascorrere i nostri martedì pomeriggio. Con i miei amici del quartiere passo tanto tempo a chiacchierare e a giocare a calcetto nel campino di piazza Tasso, la piazza dove per l’appunto affaccia l’albergo popolare, e dove ogni pomeriggio si mescolano i ragazzi della mia età con tanti senza tetto che aspettano la riapertura serale del dormitorio, più i soliti pensionati e le diverse mamme con i bambini che giocano sulle altalene e sugli scivoli. Queste persone di strada che aspettano di rientrare nell’albergo popolare ti chiedono sempre una sigaretta, a volte hanno bevuto troppo vino o troppa birra, però il resto della piazza li tratta bene: ci si saluta, si fanno due chiacchiere, perché piazza Tasso è una piazza di tutti. Così oggi, che finalmente ho avuto la possibilità di visitare l’albergo popolare, un po’ mi sentivo a casa: diversi ospiti incrociandomi nei corridoi fra le camere mi hanno riconosciuto e salutato per primi. E’ stato bello! Poi, guidati da Tommaso (l’educatore dell’albergo) io e due miei compagni di squadra ci siamo accomodati in una sala riunioni e abbiamo ascoltato la storia di Marco, un signore di 80 anni che (incredibile ma vero) quando era più giovane è stato anche allenatore di una squadra giovanile proprio della nostra Sales. Marco ci ha raccontato la sua vita prima del precipizio: geometra affermato, sposato con due figlie, calciatore dilettante arrivato anche a esordire in serie C con il Grosseto. Poi però è iniziata una valanga di eventi negativi: la relazione con un’amica della moglie, la separazione, l’attività come geometra sempre più in crisi, e infine lo sfratto dal mini-appartamento in centro a Firenze per il quale non riusciva più a pagare l’affitto. “Mi ritrovai a dormire sul divano di uno studio di geometra che oltre a qualche lavoretto mi dava il permesso di restare lì anche di notte. Ma quella non era più vita. Toccai il fondo, e decisi di chiedere aiuto alle assistenti sociali”, ci ha raccontato Marco senza nasconderci niente. Da lì l’arrivo all’albergo popolare. Nei primi mesi in una camerata insieme a diverse persone, e ora in un ambiente più confortevole, sempre dentro l’albergo ma con una cucinetta autonoma e soprattutto la possibilità di entrare e uscire praticamente senza limitazioni di orario. E’ stato bello ascoltare questa storia di caduta e di rinascita. Da Marco ho imparato l’umiltà che ha avuto nel chiedere aiuto, e la capacità di non abbattersi quando è entrato per la prima notte nel dormitorio. Se anche in un periodo di grande difficoltà riesci a restare con uno spirito positivo e a cercare il bello che c’è nonostante tutto, è lì che inizia la svolta. E la vita ti torna a sorridere.

Intervista a Filippo Biagioni – ACD Bibbiena

Mi chiamo Filippo e sono l’esterno destro d’attacco della squadra Allievi B del Bibbiena. Il mio primo ricordo legato al calcio è una fotografia di me sul passeggino allo stadio di Firenze, nella parte di tribuna più vicina al campo e alle panchine, con l’allenatore della Fiorentina Paulo Sousa, in piedi a pochi passi da me e dalla mia famiglia colorata di viola. Eh sì, nella mia famiglia sono cresciuto a pane e Fiorentina. A dire la verità però, le squadre del cuore nella mia famiglia sono due: perché accanto alla Fiorentina, forse ancora prima della Fiorentina, c’è il Bibbiena, la squadra del mio paese, dove hanno giocato sia mio nonno che mio babbo, mio zio ed ora io. Babbo mi ha iscritto al Bibbiena quando avevo 4 anni: giocavo con i bimbi di 2 anni più grandi di me, perché a 4 anni ancora non si avrebbe l’età per giocare a calcio, ma io volevo bruciare le tappe; all’inizio ero la mascotte della squadra, il cucciolo; poi, piano piano, sono diventato uno dei veterani. Undici anni di fila sempre e solo con la maglia rossoblù. Con questi colori del Bibbiena addosso ci sono cresciuto, e anche la società l’ho vista crescere insieme a me, in questi ultimi anni: il clima è sempre quello di famiglia, della squadra di paese ma l’organizzazione è sempre migliorata, e così ultimamente diversi ragazzi del Casentino hanno scelto di venire a giocare da noi, migliorando anche i risultati. La gioia più bella che ho provato in campo però, non ci crederete ma è stata una sconfitta, quella nel derby contro il Casentino Academy di due anni fa. Ero emozionato perché lo giocavo da aggregato alla squadra dei più grandi, e giocavo titolare; fu una partita intensa, finita male, ma non importa; certe partite lottate e sentite è bello giocarle al di là del risultato. E poi mi piace ricordare il gol più recente che ho fatto, nella prima giornata di questo campionato contro la Tuscar: triangolo con un compagno, palla che mi arriva sul lanciato, io che aggancio in corsa trovandomi a tu per tu col portiere; dribbling finale e gol a porta vuota. Nel mio ruolo ho la fortuna di trovarmi spesso all’appuntamento con il gol e segnare è l’emozione più bella quando si è in campo. Quello che invece mi piace meno delle nostre partite sono le esagerazioni degli adulti, genitori ma a volte purtroppo anche allenatori. Quando gli adulti se la prendono con l’arbitro, che spesso è un ragazzo della nostra età con tutto il diritto di sbagliare, mi vergogno per loro e sto male per lui. E’ un peccato che più di una volta gli adulti a bordo campo sciupino il clima delle nostre partite.

Da questa prima parte di intervista penso si sia capito che sono un casentinese appassionato della mia terra. Per questo quando i dirigenti e la Figc ci hanno proposto di gemellarci per tutta la durata della stagione con l’Ente Parco delle Foreste Casentinesi mi sono subito fatto avanti per partecipare. Con la famiglia andiamo spesso nei boschi a cercare i funghi, o nei torrenti vicino casa a pescare. Però ero comunque curioso di conoscere posti nuovi, e persone che dedicano il loro lavoro a preservare la bellezza del nostro territorio. Oggi, nel primo appuntamento del progetto, il direttore del Parco, Andrea, ha portato me ed i miei compagni di squadra Tommaso, Paolo e Giovanni vicino alla sorgente del fiume Arno, a Mulin di Bucchio, a visitare un allevamento di trote e di altri pesci a rischio estinzione, come il cavedano etrusco e il barbo tiberino. Sotto una bella pioggia autunnale siamo stati accolti da Alessandro, un uomo dell’età dei nostri genitori che ha scelto di venire a vivere in questa casetta spersa nel bosco dove l’Arno appena nato è ancora un ruscello e dove più di 100 anni fa furono costruite diverse vasche riempite con l’acqua dell’Arno dove far crescere le trote in modo protetto. Alessandro e tre suoi amici nel 2017 hanno fatto ripartire questo vecchissimo allevamento di pesci riattivando la casetta e le vasche dopo tanti anni di abbandono. Negli occhi di Alessandro, mentre ci parlava, si leggeva la passione che ha nel far crescere i pesci gustandosi tutti i passaggi della loro crescita, dalla fecondazione delle uova in una stanzetta incubatrice fino al passaggio dalle vasche dei piccoli alle vasche dei grandi. Nei giorni come questo in cui piove tanto e l’Arno si riempie di foglie portate dalla corrente che ostruiscono la bocca d’ingresso dell’acqua del fiume nelle vasche dell’allevamento, Alessandro e i suoi amici devono vegliare l’Arno giorno e notte, e ogni ora e mezzo vanno a ripulire la bocca d’ingresso delle vasche dalle foglie portate dal fiume, in modo da non interrompere mai il ricircolo dell’acqua dell’Arno nelle varie vasche. Alessandro ci ha raccontato di come tutti i sacrifici del vivere in questo posto isolato e con questi ritmi strani dettati dalle stagioni e dall’orologio biologico dei pesci di fiume sia poi ripagato da tante soddisfazioni: per esempio nel momento in cui i cavedani e i barbi diventati grandi e vengono liberati nell’Arno per ripopolare il fiume di queste specie rare; ma anche ogni volta in cui un ristorante importante della zona chiama l’allevamento per prenotare qualche trota da cucinare per i clienti più ricercati. Quattro di queste trote Alessandro le ha tolte dalla vasca per regalarle una a ognuno di noi Under 16 del Bibbiena venuti a trovarlo. Chissà le nostre mamme come saranno contente stasera quando apriranno il frigo e scopriranno la sorpresa.

G.S. SAN MINIATO A.S.D.

Dietro la collina dell’ospedale di Siena sorge uno dei quartieri della città del palio di più recente costruzione. Si chiama San Miniato: è stato edificato a partire dalla fine degli anni 70, con tanti palazzi di edilizia popolare alti e squadrati. Insieme alle abitazioni sono nati i servizi, e fra questi il campo sportivo del rione, inaugurato nel 1981 e rimasto negli anni sempre operativo e sempre nella solita collocazione, al di là delle tante migliorie apportate (come i campi sussidiari e il fondo in erba sintetica). A giocarci in casa, nell’arco di questi 40 anni, è stata sempre la stessa squadra, con la maglia neroverde e lo stesso nome (San Miniato) del quartiere popolare dove l’impianto sportivo affonda le sue radici. “La Siena quella vera, quella dei contradaioli e dei senesi più orgogliosi, ormai si trova più in quartieri periferici come questo che nel centro storico sempre più pieno di affitti a turisti e studenti”, mi fa da cicerone Simone Gasperini, che di lavoro fa il tecnico di laboratorio all’università e che nel tempo libero si fa in quattro per dirigere il San Miniato calcio. “Abbiamo tutte le categorie giovanili, dai primi calci alla Juniores, e anche una squadra dilettantistica di Prima Categoria dove i nostri ragazzi che vogliono continuare a giocare da noi anche da adulti trovano il loro habitat naturale”. In questo pomeriggio plumbeo che minaccia sempre più di scatenare un temporale sono venuto qui a Siena per conoscere la squadra Juniores del San Miniato: Simone e il mister hanno convocato i ragazzi al campo con tre quarti d’ora di anticipo rispetto all’orario solito degli allenamenti, per dare modo alla squadra di parlare con me e con Marco Amadori, responsabile di una squadra di calcio super-speciale con cui i ragazzi del San Miniato saranno invitati a “gemellarsi” per tutta la stagione nell’ambito del progetto “Non Solo Piedi Buoni”. Io e Marco troviamo la squadra nello spogliatoio ad aspettarci in religioso silenzio. Tocca a me rompere il ghiaccio e presentare a grandi linee lo spirito di impegno civico e di città solidale che sta dietro a questa mission particolare proposta dalla Figc ai ragazzi del San Miniato e di altre 9 squadre giovanili toscane. Poi passo la palla a Marco che entra nel vivo della presentazione, raccontando ai ragazzi chi sono i fuoriclasse della squadra di calcio a 7 delle Bollicine: “Siamo una squadra i cui giocatori sono ragazzi disabili cognitivi, che si rivolgono alla nostra associazione non solo per fare sport, ma anche per svolgere tante altre attività che cercano di farli sentire sempre di più in armonia con loro stessi e con gli altri al di là del proprio handicap. La nostra proposta in collaborazione con la Figc sarebbe ospitare nei prossimi venerdì sera fino a maggio alcuni di voi del San Miniato Juniores, a piccoli gruppi, per giocare a calcio con i nostri ragazzi speciali presso il campo sportivo del Rosia di cui da diversi anni siamo ospiti. Sono convinto che sarà un’esperienza divertente e formativa per tutti, per imparare a conoscere le diversità e il mondo della disabilità, le tante persone che si prendono cura dei nostri ragazzi, e per imparare da loro la genuinità e la spontaneità nell’esprimere i sentimenti. Tanti dei miei giocatori quando sono felici in campo vanno ad abbracciare il mister e gli dicono: “Ti voglio bene mister!”. Noi “normali” il più delle volte ci vergogniamo a dire a un adulto “ti voglio bene”, anche se in realtà quel sentimento lo proviamo: pensiamo che sia una cosa troppo sdolcinata, o troppo da bambini, o che ci faccia fare brutta figura, in realtà sono tutte nostre paranoie. I ragazzi delle Bollicine che presto conoscerete vi incoraggeranno a mettere da parte queste paranoie per giocare (e a vivere) sempre a cuore aperto”.

I ragazzi della Juniores del San Miniato annuiscono. Incassano anche l’incoraggiamento del mister e di un dirigente, e poi si fiondano in campo per l’allenamento. Io e Simone continuiamo a chiacchierare nella stanzetta in prefabbricato adibita a sede sociale, mentre fuori dopo pochi minuti si scatena il diluvio universale. Una pioggia clamorosa che costringe i ragazzi e il mister a interrompere l’allenamento sul nascere per fare una doccia calda e scappare a casa all’asciutto prima possibile. Un dirigente del San Miniato mi rimedia chissà dove e chissà come uno strano ombrello color rosa shocking e mezzo rotto, che mi permette in qualche modo di affrontare la tempesta. Simone mi dice di raggiungerlo nel parcheggio. “Ti do io un passaggio alla stazione!”. Faccio qualche passo dentro il temporale, vedo una macchina col motore acceso davanti ai cancelli. Apro in qualche modo la portiera e mi ci infilo dentro, già zuppo come un pulcino nonostante l’ombrello rosa shocking. “E te chi sei?”, mi accoglie un uomo sconosciuto alla guida dell’automobile. “Ah, ma questo non è Simone. Mi scusi…”. “Macché Simone, dai non prendere altra acqua. Ti ci porto io alla stazione, scherzi?”. Avviso Simone e accetto volentieri quest’altro passaggio. L’autista sconosciuto si presenta, e ne nasce una conversazione rocambolesca e bellissima: “Sono il babbo di Giulio, la mezzala della squadra. Ora fra poco arriva anche lui sulla Panda, almeno spero. Complimenti per questo progetto che hai proposto ai ragazzi. Io e il mi figliolo siamo contradaioli del Nicchio, che un vince più un palio da 26 anni. La contrada per noi è una scuola di vita: lì si impara a stare insieme, a fare villaggio, a vivere la città e a sentirsene parte. Ma il villaggio è davvero bello solo se ha le porte aperte a tutte le diversità. Sono convinto che andando a conoscere e a voler bene alla diversità dei ragazzi delle Bollicine, Giulio e i suoi compagni impareranno ancora di più a essere senesi e ad amare la loro città, facendola diventare ancora più bella”.

U.S. SALES A.S.D.

Sui marciapiedi della statale Toscoromagnola, all’altezza dell’abitato di Sieci, a metà strada fra Firenze e Pontassieve, è tutto un andirivieni di ragazzi adolescenti in marcia. In tutto saranno una trentina, con il borsone giallo e blu della Sales a tracolla. Sono arrivati da Firenze mettendosi in viaggio subito dopo l’uscita da scuola: chi con il treno, chi con l’autobus e chi con un passaggio privato. Sono diretti al campo sportivo del paese per uno dei tantissimi allenamenti “in campo neutro” a cui tutte le squadre giovanili della Sales sono costrette in queste prime settimane di stagione sportiva. “Guardali lì, i nostri ragazzi! Meriterebbero un premio già solo per tutte queste trasferte che gli tocca fare ogni giorno per allenarsi e per giocare”, si intenerisce accanto a me il presidente della Sales Maurizio Razzi, che mi sta accompagnando in auto verso il campo delle Sieci, e mentre guida continua ad avvistare e a salutare a bordo strada altri giovani calciatori della squadra fondata tanti decenni fa dai padri salesiani. “Questo esilio prolungato è un bel sacrificio per tutti”, mi spiega il presidente: “In compenso la causa di questo nostro nomadismo nei campi sportivi intorno a Firenze è una bella notizia: i padri salesiani proprietari del nostro campo casalingo di via Gioberti ci hanno regalato un terreno di gioco tutto nuovo, in erba sintetica di ultima generazione; il rifacimento del manto verde è in corso proprio in queste settimane, e anche gli spogliatoi saranno ristrutturati. Fra pochi giorni contiamo di tornare con tutte le nostre squadre in una casa della Sales bella come non mai”. Intanto arriviamo al campo, dopo che la macchina del presidente è riuscita nell’impresa di perdersi anche nel minuscolo abitato delle Sieci. Quando parcheggiamo i ragazzi fiorentini della Sales, che sono arrivati molto più rapidamente di noi pur non essendo motorizzati, si sono già cambiati e sono pronti per scendere in campo. Il gruppo della squadra Allievi, in onore della quale io e il mio omonimo Tommaso (educatore dell’Albergo Popolare di Firenze) siamo qui oggi a presentare il progetto “Non Solo Piedi Buoni”, si stringe in cerchio all’interno di uno strano campo spelacchiato dove convivono sia le porte di calcio sia i pali del rugby, per ricevere le ultime informazioni di servizio dall’allenatore Luigi: “Ragazzi, attenzione ai prossimi appuntamenti. Il prossimo allenamento lo facciamo nel campino a sette nostro della Sales, la prossima partita in casa invece è all’Albereta, poi lunedì della prossima settimana siamo di nuovo qui alle Sieci”. E’ a questo punto che nella riunione tecnica a centrocampo facciamo irruzione anche io, il direttore sportivo Roberto e l’altro Tommaso dell’Albergo Popolare. Sotto una pioggerellina beneaugurante introduciamo ai ragazzi il gemellaggio con la struttura di Firenze specializzata nell’accoglienza di persone in emergenza abitativa che la Figc ha proposto alla loro squadra. L’idea di partenza è quella di trovarci tutti i martedì pomeriggio fino al mese di maggio con due o tre ragazzi della Sales a rotazione e con un ospite del dormitorio “ingaggiato” di volta in volta dall’educatore Tommaso: due ore insieme in cui ascoltare la storia di un ospite sempre diverso dell’Albergo Popolare, e fare una piccola escursione nei luoghi di Firenze in cui ogni storia è ambientata, per far conoscere ai ragazzi le piazze e le strade della loro città attraverso un punto di vista insolito (quello di chi per tanto tempo ha vissuto senza un tetto sulla testa).

Tommaso l’educatore dell’Albergo è entusiasta non meno di me di questo gemellaggio fra ragazzi della Sales e persone ex senza fissa dimora. “Sono convinto che dalla Firenze raccontata dagli ospiti dell’Albergo e dai ragazzi degli Allievi della Sales potrebbero nascere belle storie. Potremmo anche scriverle, raccoglierle in una piccola antologia. Non te lo avevo detto prima, ma io oltre a essere educatore sono anche scrittore. E poi questi ragazzi mi sono già entrati nel cuore. Quanto hanno perso alla prima giornata? 8-0?”. Eh sì. Ma di fronte c’era la corazzata Fiesole. Niente paura. Arriveranno presto anche le soddisfazioni sul campo. Io nel frattempo, visto che i tifosi veri si riconoscono nei momenti di difficoltà, prometto ai ragazzi che andrò all’Albereta a vederli contro il Rifredi. “Ci si vede fra pochi giorni, allora”, mi strizza l’occhio il direttore sportivo Roberto. Il presidente Maurizio lascia nello spogliatoio un bel vassoio di pizzette e schiacciatine: “Così i ragazzi dopo la doccia e prima di rimettersi in marcia verso treni e corriere si fermano lo stomaco per benino”. Poi saliamo di nuovo in macchina con destinazione Firenze, perché Maurizio prima di congedarmi ci tiene a farmi vedere lo stato dei lavori al campo della Sales. “Io lo vedo già, il campo nuovo”, non sta nella pelle il presidente: “Sai che il nostro campo è il campo di calcio più in centro città di tutta Firenze?”. Sì, lo sapevo. E infatti è suggestivo vedere le palazzine tutte intorno al rettangolo di gioco, e ugualmente suggestivo è uscire dall’impianto, fare quattro passi e ritrovarsi come d’incanto in piazza Beccaria. “Siamo nel salotto di Firenze, ma la nostra squadra è accogliente verso tutti e mischia classi sociali diverse. Ce lo ha insegnato don Marcello, il prete che mi ha cresciuto qui nella parrocchia dei Salesiani e che negli anni 50 volle fortemente costruire vicino alla chiesa questo campo di calcio a 11. Don Marcello era un vero appassionato di calcio: lui la domenica mattina non celebrava le messe perché voleva stare alla rete a fare il tifo per le squadre giovanili della Sales. Il suo Vangelo eravamo noi. Nel 2009 don Marcello è morto, ma il legame fra parrocchia e squadra non è mai finito, qui alla Sales: a proposito, il nostro nuovo direttore dell’Opera Salesiana di Firenze, don Stefano, che ti vuole conoscere ed è entusiasta del progetto “Non Solo Piedi Buoni”, sai com’è che arrivò in parrocchia da ragazzino? Facendo il portiere nella Sales!”.

A.S.D. PAPERINO SAN GIORGIO

Paperino e San Giorgio sono due borgate alla periferia sud di Prato, in una terra di mezzo dove il grande agglomerato urbano lascia spazio alla campagna, alle case sparse e ai campi coltivati. La squadra di calcio che rappresenta questi due quartieri della seconda città più popolosa della Toscana si chiama per l’appunto Paperino San Giorgio, ed è qui che mi trovo ospite stasera. Il campo di calcio dove si allena e dove fa base la formazione Juniores di questa società sportiva è di proprietà della vicina parrocchia di Castelnuovo, altra frazione all’estremo sud della città laniera. Quando arrivo al campo trovo il giovane parroco don Matteo impegnato ad apparecchiare per la cena su una distesa di tavoloni di legno da sagra. Con lui un gruppetto di parrocchiani bionici armeggia coi pentoloni in un baracchino adibito a cucina. “Stiamo preparando una bella pastasciutta per i ragazzi alla fine dell’allenamento”, mi raccontano i dirigenti e gli amici di don Matteo. Un clima che più casereccio di così non si può. Mentre i giovani calciatori a cui sono venuto a presentare il progetto Non Solo Piedi Buoni finiscono di allenarsi, la squadra-apparecchiatura a bordo campo è letteralmente falcidiata da un esercito di zanzare. Ma superando ogni ostacolo i preparativi per la nostra cena vanno avanti spediti. I ragazzi fanno la doccia e si mettono a tavola belli baldanzosi. Arriva a salutarli anche Marzia, una maestra in pensione con il cuore grande, che durante tutto l’arco della stagione ogni lunedì pomeriggio farà gli onori di casa nella parrocchia Gesù Divin Lavoratore (dall’altra parte della città, zona via Pistoiese, nel cuore della Chinatown pratese) per dare vita insieme agli Juniores del Paperino a un doposcuola per i bambini della vicina scuola elementare Borgonuovo: aiuto compiti e soprattutto tante partite di calcio per bimbi che non hanno la possibilità di fare sport in una scuola calcio vera e propria. Io, i dirigenti e gli allenatori della squadra lanciamo l’idea ai ragazzi, e cerchiamo di far capire loro quanto sia importante la posta in gioco di questa avventura: sia per la maturazione dei ragazzi stessi dal punto di vista civico e umano, sia per il servizio offerto ai bimbi che parteciperanno al doposcuola, molti dei quali di origine cinese e con un estremo bisogno di socializzare e di giocare in contesti che li aiutino a parlare meno in cinese e più in italiano.

“Sarebbe bello che alla fine di questo doposcuola alcuni dei bambini e delle bambine decidessero di iscriversi al Paperino”, è l’auspicio di Andrea, giovane dirigente della società gialloblù e persona dalla sensibilità sociale smisurata: “La sfida dell’integrazione per i figli degli operai tessili cinesi è difficile ma importantissima. Tanti di questi bambini arrivano alle scuole superiori ma poi vengono respinti e abbandonano gli studi, avendo passato troppo tempo della loro infanzia con i loro connazionali. La scuola elementare e media aiuta fino a un certo punto, perché anche lì i bambini di origine cinese, essendo la maggioranza della popolazione scolastica, tendono a socializzare fra di loro senza parlare in italiano. Diverso è il discorso in un contesto come una squadra di calcio, dove i bambini cinesi sono pochi, e quei pochi che entrano nelle nostre squadre per forza di cose fanno amicizia con loro coetanei figli di italiani, e così iniziano a praticare davvero la nostra lingua, e questo può fare la differenza anche nella buona riuscita del loro percorso scolastico. Speriamo, con questo progetto, che i nostri Juniores riescano a essere un ponte di accoglienza per questi bambini verso la nostra società sportiva. Al momento fra i nostri 200 tesserati, solo 3 sono di origine cinese. E’ pochissimo, però è già un inizio”. Andrea è mio vicino di posto alla pastasciuttata insieme ai giovani calciatori: fra una forchettata e l’altra mi racconta dello spettacolo teatrale che i giovani calciatori di diverse età del Paperino hanno preparato e rappresentato insieme lo scorso anno ma anche del viaggio della memoria in diversi ex campi di sterminio nazisti che la società ha offerto qualche mese fa a un gruppo di allenatori della squadra nell’ambito di un percorso di formazione a tutto tondo rivolto allo staff tecnico. E poi, ovviamente, c’è la grande passione per il calcio giocato, attorno alla quale tutte le iniziative sociali si sviluppano. “Dal punto di vista strettamente sportivo stiamo attraversando una fase di transizione molto delicata: il nostro storico campo di calcio di Paperino è stato demolito per fare spazio a un impianto di trattamento di rifiuti. Il comune ha individuato un’area vicina dove costruire un campo di calcio più bello e più funzionale di quello che avevamo prima. Speriamo che non ci voglia troppo tempo. Intanto noi abbiamo chiesto e trovato ospitalità a San Giorgio e qui a Castelnuovo, al campo della chiesa. La nostra è una bella storia, che ha attraversato diverse generazioni e tante altre ancora ne vuole attraversare. Il presidente Sauro e sua moglie Barbara sono i nostri fuoriclasse: sono ovunque, dal campo di gioco al bar, dalla biglietteria al volante del pulmino che porta i bambini al campo e li riaccompagna a casa. Noi dirigenti più giovani siamo nella loro scia, per inventare calcio e socialità buona. I genitori che portano i loro bimbi da noi ormai lo sanno, che al Paperino si gioca sì tantissimo a calcio, ma proprio giocando a calcio si prova anche a fare la nostra parte per costruire un mondo migliore”.

 

A.S.D. ORLANDO CALCIO LIVORNO

Nella pineta di Quercianella, fra la stazione e il mare, c’è una casa incantata che sembra il set di un telefilm. Si chiama “Casa Papa Francesco”: dentro ci abitano 11 bambini e una suora, coadiuvati da una squadra affiatata di educatrici, animatrici e volontari. E’ un posto bellissimo: la casa è moderna e ristrutturata, contornata da un giardino e impreziosita dall’accesso pedonale al mare. “Non siamo una famiglia classica, con un babbo, una mamma e i figli; ma noi ci sentiamo comunque una famiglia”, racconta la capitana, suor Raffaella al momento del primo giro di nomi e della prima presentazione. Seduti sul prato in giardino ci sono i bambini della casa famiglia e una bella rappresentanza degli Allievi dell’Orlando Calcio (accompagnati dal mister e dall’allenatore in seconda) che è la squadra livornese protagonista del progetto Figc “Non Solo Piedi Buoni”. I giovani calciatori della formazione biancoblu del quartiere Corea verranno a gruppetti ogni venerdì pomeriggio qui alla casa famiglia per fare amicizia con i bambini e con gli adulti che se ne prendono cura ogni giorno. “Per dare una mano qui, ragazzi, avete l’imbarazzo della scelta”, sorride suor Raffaella: “Passando diversi venerdì pomeriggio con noi potrete imparare per esempio come si cambia il pannolino a un neonato, che è una cosa che magari fra un po’ di anni vi tornerà utile; oppure giocare con loro a pallone ed altri giochi qui in giardino, o aiutare i bambini a fare i compiti o suonare e cantare insieme a loro…”. I bambini e le bambine sembrano non vedere l’ora di testare le capacità tecniche calcistiche dei loro prossimi compagni di gioco e fratelli maggiori: “Io sono un portiere!”, si candida Irene, 8 anni. “Io invece sono bravissimo all’attacco”, si presenta Bayram. E difatti, dopo cinque minuti è già tempo di torello nel giardino della casa famiglia, con un pallone spuntato fuori a tempo di record mentre lo staff della casa famiglia allestisce una merenda in onore dei nuovi compagni di avventura dell’Orlando Calcio. I bambini ci fanno visitare la casa e ci portano a vedere tutte le camere e gli spazi comuni, consegnandoci la realtà di una casa animatissima ma anche organizzatissima, con orari precisi da rispettare (per la sveglia, lo scuolabus, i compiti, la merenda…) e ragazzini e bambini di età diverse chiamati ad aiutarsi fra di loro. Poi, nella parte finale dell’incontro introduttivo, suor Raffaella ci chiama in disparte, lontano dai bambini, per fornire ai ragazzi dell’Orlando le informazioni più delicate riguardo il gemellaggio fra Orlando Calcio e Casa Papa Francesco che sta per cominciare. “Avete visto i bimbi come sono sereni, sorridenti e pieni di gioia? Io per questi bimbi andrei pure in cielo ad acchiappare le stelle, per renderli felici. Questo posto è bello, ragazzi, e speriamo che anche voi possiate sentirvici a casa, ogni volta che ci verrete a trovare. Questi bambini hanno bisogno di aiuto e di amore perché arrivano da situazioni familiari difficilissime: i servizi sociali e i tribunali dei minorenni non è che allontanino i bambini dai genitori per motivi banali; si tratta quindi di bimbi che hanno sofferto, e che spesso continuano a soffrire quando tornano qui dopo gli incontri periodici con i loro genitori. Questo per farvi capire che il tempo e il cuore che metterete in questi incontri con noi fino a maggio hanno un valore grande. Io sono sicura che stasera quando rivedrò i bimbi senza di voi sarà tutto un parlare della vostra squadra: quando torneranno, come saranno, come giocheranno… Quindi vi aspettiamo a braccia aperte, e ovviamente da oggi faremo anche noi il tifo per l’Orlando, e qualche volta vi verremo a vedere al campo Pitto”.

Il campo Pitto è il luogo imprescindibile dove i ragazzi e mister Valerio si dirigono già subito dopo aver detto arrivederci ai bambini e a suor Raffaella. Al campo Pitto ci faccio un salto anche io, per vedere la squadra all’opera nel suo habitat naturale: un terreno di gioco glorioso, per la città di Livorno, dove non cresce nemmeno un filo d’erba e dove decine e decine di calciatori di tutte le età si alternano ogni pomeriggio dell’anno. Oggi per esempio insieme ai miei Allievi ci sono ad allenarsi i Giovanissimi e i Pulcini, e sempre nello stesso vissutissimo campo a 11 arrivano a riscaldarsi altre due squadre (Livorno 9 e Stagno) che si sono accordate per giocare qui una amichevole pre-campionato. “Hai visto che bel casino?”, mi sussurra all’orecchio Valerio, che oltre che allenare gli Allievi è un po’ il dirigente factotum di tutto l’Orlando Calcio. Valerio è un uomo di mezza età ma il suo temperamento e il suo carisma sono da vecchio saggio. “Io non so come faccia a conoscere per nome centinaia di ragazzi, come faccia a tenere tutto insieme, il suo lavoro all’ospedale, e poi tutte queste squadre…” si meraviglia ogni giorno come fosse il primo suo fratello Daniele, allenatore in seconda degli Allievi biancoblu. “Il nostro girone è tutto con squadre in provincia di Livorno. Ci sono tante squadre come noi, che hanno sede in città e che risentono di un bel “rigirìo” di giocatori che ogni anno passano con facilità dalla squadra di un quartiere a quella del rione vicino; e poi ci sono le squadre dei paesi della costa, dell’entroterra, perfino una squadra all’Elba. Noi non siamo fra le più forti ma neanche fra le più deboli. Prime dell’inizio del campionato siamo arrivati in finale in un torneo, ed eravamo in vantaggio fino a quasi il 90’. Sono orgoglioso di questi ragazzi e di questo gruppo, che ho visto crescere negli ultimi anni. La nostra società fa tanto sociale e tanta accoglienza per ragazzini di tante culture diverse che non possono permettersi la retta. Il nostro è calcio popolare nel vero senso della parola. Ma è anche un calcio che ci dà delle soddisfazioni. Sul campo di gioco, e anche sul campo della vita, dove cerchiamo di insegnare ai nostri ragazzi a giocare sempre con il cuore”.