G.S. SAN MINIATO A.S.D.

Dietro la collina dell’ospedale di Siena sorge uno dei quartieri della città del palio di più recente costruzione. Si chiama San Miniato: è stato edificato a partire dalla fine degli anni 70, con tanti palazzi di edilizia popolare alti e squadrati. Insieme alle abitazioni sono nati i servizi, e fra questi il campo sportivo del rione, inaugurato nel 1981 e rimasto negli anni sempre operativo e sempre nella solita collocazione, al di là delle tante migliorie apportate (come i campi sussidiari e il fondo in erba sintetica). A giocarci in casa, nell’arco di questi 40 anni, è stata sempre la stessa squadra, con la maglia neroverde e lo stesso nome (San Miniato) del quartiere popolare dove l’impianto sportivo affonda le sue radici. “La Siena quella vera, quella dei contradaioli e dei senesi più orgogliosi, ormai si trova più in quartieri periferici come questo che nel centro storico sempre più pieno di affitti a turisti e studenti”, mi fa da cicerone Simone Gasperini, che di lavoro fa il tecnico di laboratorio all’università e che nel tempo libero si fa in quattro per dirigere il San Miniato calcio. “Abbiamo tutte le categorie giovanili, dai primi calci alla Juniores, e anche una squadra dilettantistica di Prima Categoria dove i nostri ragazzi che vogliono continuare a giocare da noi anche da adulti trovano il loro habitat naturale”. In questo pomeriggio plumbeo che minaccia sempre più di scatenare un temporale sono venuto qui a Siena per conoscere la squadra Juniores del San Miniato: Simone e il mister hanno convocato i ragazzi al campo con tre quarti d’ora di anticipo rispetto all’orario solito degli allenamenti, per dare modo alla squadra di parlare con me e con Marco Amadori, responsabile di una squadra di calcio super-speciale con cui i ragazzi del San Miniato saranno invitati a “gemellarsi” per tutta la stagione nell’ambito del progetto “Non Solo Piedi Buoni”. Io e Marco troviamo la squadra nello spogliatoio ad aspettarci in religioso silenzio. Tocca a me rompere il ghiaccio e presentare a grandi linee lo spirito di impegno civico e di città solidale che sta dietro a questa mission particolare proposta dalla Figc ai ragazzi del San Miniato e di altre 9 squadre giovanili toscane. Poi passo la palla a Marco che entra nel vivo della presentazione, raccontando ai ragazzi chi sono i fuoriclasse della squadra di calcio a 7 delle Bollicine: “Siamo una squadra i cui giocatori sono ragazzi disabili cognitivi, che si rivolgono alla nostra associazione non solo per fare sport, ma anche per svolgere tante altre attività che cercano di farli sentire sempre di più in armonia con loro stessi e con gli altri al di là del proprio handicap. La nostra proposta in collaborazione con la Figc sarebbe ospitare nei prossimi venerdì sera fino a maggio alcuni di voi del San Miniato Juniores, a piccoli gruppi, per giocare a calcio con i nostri ragazzi speciali presso il campo sportivo del Rosia di cui da diversi anni siamo ospiti. Sono convinto che sarà un’esperienza divertente e formativa per tutti, per imparare a conoscere le diversità e il mondo della disabilità, le tante persone che si prendono cura dei nostri ragazzi, e per imparare da loro la genuinità e la spontaneità nell’esprimere i sentimenti. Tanti dei miei giocatori quando sono felici in campo vanno ad abbracciare il mister e gli dicono: “Ti voglio bene mister!”. Noi “normali” il più delle volte ci vergogniamo a dire a un adulto “ti voglio bene”, anche se in realtà quel sentimento lo proviamo: pensiamo che sia una cosa troppo sdolcinata, o troppo da bambini, o che ci faccia fare brutta figura, in realtà sono tutte nostre paranoie. I ragazzi delle Bollicine che presto conoscerete vi incoraggeranno a mettere da parte queste paranoie per giocare (e a vivere) sempre a cuore aperto”.

I ragazzi della Juniores del San Miniato annuiscono. Incassano anche l’incoraggiamento del mister e di un dirigente, e poi si fiondano in campo per l’allenamento. Io e Simone continuiamo a chiacchierare nella stanzetta in prefabbricato adibita a sede sociale, mentre fuori dopo pochi minuti si scatena il diluvio universale. Una pioggia clamorosa che costringe i ragazzi e il mister a interrompere l’allenamento sul nascere per fare una doccia calda e scappare a casa all’asciutto prima possibile. Un dirigente del San Miniato mi rimedia chissà dove e chissà come uno strano ombrello color rosa shocking e mezzo rotto, che mi permette in qualche modo di affrontare la tempesta. Simone mi dice di raggiungerlo nel parcheggio. “Ti do io un passaggio alla stazione!”. Faccio qualche passo dentro il temporale, vedo una macchina col motore acceso davanti ai cancelli. Apro in qualche modo la portiera e mi ci infilo dentro, già zuppo come un pulcino nonostante l’ombrello rosa shocking. “E te chi sei?”, mi accoglie un uomo sconosciuto alla guida dell’automobile. “Ah, ma questo non è Simone. Mi scusi…”. “Macché Simone, dai non prendere altra acqua. Ti ci porto io alla stazione, scherzi?”. Avviso Simone e accetto volentieri quest’altro passaggio. L’autista sconosciuto si presenta, e ne nasce una conversazione rocambolesca e bellissima: “Sono il babbo di Giulio, la mezzala della squadra. Ora fra poco arriva anche lui sulla Panda, almeno spero. Complimenti per questo progetto che hai proposto ai ragazzi. Io e il mi figliolo siamo contradaioli del Nicchio, che un vince più un palio da 26 anni. La contrada per noi è una scuola di vita: lì si impara a stare insieme, a fare villaggio, a vivere la città e a sentirsene parte. Ma il villaggio è davvero bello solo se ha le porte aperte a tutte le diversità. Sono convinto che andando a conoscere e a voler bene alla diversità dei ragazzi delle Bollicine, Giulio e i suoi compagni impareranno ancora di più a essere senesi e ad amare la loro città, facendola diventare ancora più bella”.

U.S. SALES A.S.D.

Sui marciapiedi della statale Toscoromagnola, all’altezza dell’abitato di Sieci, a metà strada fra Firenze e Pontassieve, è tutto un andirivieni di ragazzi adolescenti in marcia. In tutto saranno una trentina, con il borsone giallo e blu della Sales a tracolla. Sono arrivati da Firenze mettendosi in viaggio subito dopo l’uscita da scuola: chi con il treno, chi con l’autobus e chi con un passaggio privato. Sono diretti al campo sportivo del paese per uno dei tantissimi allenamenti “in campo neutro” a cui tutte le squadre giovanili della Sales sono costrette in queste prime settimane di stagione sportiva. “Guardali lì, i nostri ragazzi! Meriterebbero un premio già solo per tutte queste trasferte che gli tocca fare ogni giorno per allenarsi e per giocare”, si intenerisce accanto a me il presidente della Sales Maurizio Razzi, che mi sta accompagnando in auto verso il campo delle Sieci, e mentre guida continua ad avvistare e a salutare a bordo strada altri giovani calciatori della squadra fondata tanti decenni fa dai padri salesiani. “Questo esilio prolungato è un bel sacrificio per tutti”, mi spiega il presidente: “In compenso la causa di questo nostro nomadismo nei campi sportivi intorno a Firenze è una bella notizia: i padri salesiani proprietari del nostro campo casalingo di via Gioberti ci hanno regalato un terreno di gioco tutto nuovo, in erba sintetica di ultima generazione; il rifacimento del manto verde è in corso proprio in queste settimane, e anche gli spogliatoi saranno ristrutturati. Fra pochi giorni contiamo di tornare con tutte le nostre squadre in una casa della Sales bella come non mai”. Intanto arriviamo al campo, dopo che la macchina del presidente è riuscita nell’impresa di perdersi anche nel minuscolo abitato delle Sieci. Quando parcheggiamo i ragazzi fiorentini della Sales, che sono arrivati molto più rapidamente di noi pur non essendo motorizzati, si sono già cambiati e sono pronti per scendere in campo. Il gruppo della squadra Allievi, in onore della quale io e il mio omonimo Tommaso (educatore dell’Albergo Popolare di Firenze) siamo qui oggi a presentare il progetto “Non Solo Piedi Buoni”, si stringe in cerchio all’interno di uno strano campo spelacchiato dove convivono sia le porte di calcio sia i pali del rugby, per ricevere le ultime informazioni di servizio dall’allenatore Luigi: “Ragazzi, attenzione ai prossimi appuntamenti. Il prossimo allenamento lo facciamo nel campino a sette nostro della Sales, la prossima partita in casa invece è all’Albereta, poi lunedì della prossima settimana siamo di nuovo qui alle Sieci”. E’ a questo punto che nella riunione tecnica a centrocampo facciamo irruzione anche io, il direttore sportivo Roberto e l’altro Tommaso dell’Albergo Popolare. Sotto una pioggerellina beneaugurante introduciamo ai ragazzi il gemellaggio con la struttura di Firenze specializzata nell’accoglienza di persone in emergenza abitativa che la Figc ha proposto alla loro squadra. L’idea di partenza è quella di trovarci tutti i martedì pomeriggio fino al mese di maggio con due o tre ragazzi della Sales a rotazione e con un ospite del dormitorio “ingaggiato” di volta in volta dall’educatore Tommaso: due ore insieme in cui ascoltare la storia di un ospite sempre diverso dell’Albergo Popolare, e fare una piccola escursione nei luoghi di Firenze in cui ogni storia è ambientata, per far conoscere ai ragazzi le piazze e le strade della loro città attraverso un punto di vista insolito (quello di chi per tanto tempo ha vissuto senza un tetto sulla testa).

Tommaso l’educatore dell’Albergo è entusiasta non meno di me di questo gemellaggio fra ragazzi della Sales e persone ex senza fissa dimora. “Sono convinto che dalla Firenze raccontata dagli ospiti dell’Albergo e dai ragazzi degli Allievi della Sales potrebbero nascere belle storie. Potremmo anche scriverle, raccoglierle in una piccola antologia. Non te lo avevo detto prima, ma io oltre a essere educatore sono anche scrittore. E poi questi ragazzi mi sono già entrati nel cuore. Quanto hanno perso alla prima giornata? 8-0?”. Eh sì. Ma di fronte c’era la corazzata Fiesole. Niente paura. Arriveranno presto anche le soddisfazioni sul campo. Io nel frattempo, visto che i tifosi veri si riconoscono nei momenti di difficoltà, prometto ai ragazzi che andrò all’Albereta a vederli contro il Rifredi. “Ci si vede fra pochi giorni, allora”, mi strizza l’occhio il direttore sportivo Roberto. Il presidente Maurizio lascia nello spogliatoio un bel vassoio di pizzette e schiacciatine: “Così i ragazzi dopo la doccia e prima di rimettersi in marcia verso treni e corriere si fermano lo stomaco per benino”. Poi saliamo di nuovo in macchina con destinazione Firenze, perché Maurizio prima di congedarmi ci tiene a farmi vedere lo stato dei lavori al campo della Sales. “Io lo vedo già, il campo nuovo”, non sta nella pelle il presidente: “Sai che il nostro campo è il campo di calcio più in centro città di tutta Firenze?”. Sì, lo sapevo. E infatti è suggestivo vedere le palazzine tutte intorno al rettangolo di gioco, e ugualmente suggestivo è uscire dall’impianto, fare quattro passi e ritrovarsi come d’incanto in piazza Beccaria. “Siamo nel salotto di Firenze, ma la nostra squadra è accogliente verso tutti e mischia classi sociali diverse. Ce lo ha insegnato don Marcello, il prete che mi ha cresciuto qui nella parrocchia dei Salesiani e che negli anni 50 volle fortemente costruire vicino alla chiesa questo campo di calcio a 11. Don Marcello era un vero appassionato di calcio: lui la domenica mattina non celebrava le messe perché voleva stare alla rete a fare il tifo per le squadre giovanili della Sales. Il suo Vangelo eravamo noi. Nel 2009 don Marcello è morto, ma il legame fra parrocchia e squadra non è mai finito, qui alla Sales: a proposito, il nostro nuovo direttore dell’Opera Salesiana di Firenze, don Stefano, che ti vuole conoscere ed è entusiasta del progetto “Non Solo Piedi Buoni”, sai com’è che arrivò in parrocchia da ragazzino? Facendo il portiere nella Sales!”.

A.S.D. PAPERINO SAN GIORGIO

Paperino e San Giorgio sono due borgate alla periferia sud di Prato, in una terra di mezzo dove il grande agglomerato urbano lascia spazio alla campagna, alle case sparse e ai campi coltivati. La squadra di calcio che rappresenta questi due quartieri della seconda città più popolosa della Toscana si chiama per l’appunto Paperino San Giorgio, ed è qui che mi trovo ospite stasera. Il campo di calcio dove si allena e dove fa base la formazione Juniores di questa società sportiva è di proprietà della vicina parrocchia di Castelnuovo, altra frazione all’estremo sud della città laniera. Quando arrivo al campo trovo il giovane parroco don Matteo impegnato ad apparecchiare per la cena su una distesa di tavoloni di legno da sagra. Con lui un gruppetto di parrocchiani bionici armeggia coi pentoloni in un baracchino adibito a cucina. “Stiamo preparando una bella pastasciutta per i ragazzi alla fine dell’allenamento”, mi raccontano i dirigenti e gli amici di don Matteo. Un clima che più casereccio di così non si può. Mentre i giovani calciatori a cui sono venuto a presentare il progetto Non Solo Piedi Buoni finiscono di allenarsi, la squadra-apparecchiatura a bordo campo è letteralmente falcidiata da un esercito di zanzare. Ma superando ogni ostacolo i preparativi per la nostra cena vanno avanti spediti. I ragazzi fanno la doccia e si mettono a tavola belli baldanzosi. Arriva a salutarli anche Marzia, una maestra in pensione con il cuore grande, che durante tutto l’arco della stagione ogni lunedì pomeriggio farà gli onori di casa nella parrocchia Gesù Divin Lavoratore (dall’altra parte della città, zona via Pistoiese, nel cuore della Chinatown pratese) per dare vita insieme agli Juniores del Paperino a un doposcuola per i bambini della vicina scuola elementare Borgonuovo: aiuto compiti e soprattutto tante partite di calcio per bimbi che non hanno la possibilità di fare sport in una scuola calcio vera e propria. Io, i dirigenti e gli allenatori della squadra lanciamo l’idea ai ragazzi, e cerchiamo di far capire loro quanto sia importante la posta in gioco di questa avventura: sia per la maturazione dei ragazzi stessi dal punto di vista civico e umano, sia per il servizio offerto ai bimbi che parteciperanno al doposcuola, molti dei quali di origine cinese e con un estremo bisogno di socializzare e di giocare in contesti che li aiutino a parlare meno in cinese e più in italiano.

“Sarebbe bello che alla fine di questo doposcuola alcuni dei bambini e delle bambine decidessero di iscriversi al Paperino”, è l’auspicio di Andrea, giovane dirigente della società gialloblù e persona dalla sensibilità sociale smisurata: “La sfida dell’integrazione per i figli degli operai tessili cinesi è difficile ma importantissima. Tanti di questi bambini arrivano alle scuole superiori ma poi vengono respinti e abbandonano gli studi, avendo passato troppo tempo della loro infanzia con i loro connazionali. La scuola elementare e media aiuta fino a un certo punto, perché anche lì i bambini di origine cinese, essendo la maggioranza della popolazione scolastica, tendono a socializzare fra di loro senza parlare in italiano. Diverso è il discorso in un contesto come una squadra di calcio, dove i bambini cinesi sono pochi, e quei pochi che entrano nelle nostre squadre per forza di cose fanno amicizia con loro coetanei figli di italiani, e così iniziano a praticare davvero la nostra lingua, e questo può fare la differenza anche nella buona riuscita del loro percorso scolastico. Speriamo, con questo progetto, che i nostri Juniores riescano a essere un ponte di accoglienza per questi bambini verso la nostra società sportiva. Al momento fra i nostri 200 tesserati, solo 3 sono di origine cinese. E’ pochissimo, però è già un inizio”. Andrea è mio vicino di posto alla pastasciuttata insieme ai giovani calciatori: fra una forchettata e l’altra mi racconta dello spettacolo teatrale che i giovani calciatori di diverse età del Paperino hanno preparato e rappresentato insieme lo scorso anno ma anche del viaggio della memoria in diversi ex campi di sterminio nazisti che la società ha offerto qualche mese fa a un gruppo di allenatori della squadra nell’ambito di un percorso di formazione a tutto tondo rivolto allo staff tecnico. E poi, ovviamente, c’è la grande passione per il calcio giocato, attorno alla quale tutte le iniziative sociali si sviluppano. “Dal punto di vista strettamente sportivo stiamo attraversando una fase di transizione molto delicata: il nostro storico campo di calcio di Paperino è stato demolito per fare spazio a un impianto di trattamento di rifiuti. Il comune ha individuato un’area vicina dove costruire un campo di calcio più bello e più funzionale di quello che avevamo prima. Speriamo che non ci voglia troppo tempo. Intanto noi abbiamo chiesto e trovato ospitalità a San Giorgio e qui a Castelnuovo, al campo della chiesa. La nostra è una bella storia, che ha attraversato diverse generazioni e tante altre ancora ne vuole attraversare. Il presidente Sauro e sua moglie Barbara sono i nostri fuoriclasse: sono ovunque, dal campo di gioco al bar, dalla biglietteria al volante del pulmino che porta i bambini al campo e li riaccompagna a casa. Noi dirigenti più giovani siamo nella loro scia, per inventare calcio e socialità buona. I genitori che portano i loro bimbi da noi ormai lo sanno, che al Paperino si gioca sì tantissimo a calcio, ma proprio giocando a calcio si prova anche a fare la nostra parte per costruire un mondo migliore”.

 

A.S.D. ORLANDO CALCIO LIVORNO

Nella pineta di Quercianella, fra la stazione e il mare, c’è una casa incantata che sembra il set di un telefilm. Si chiama “Casa Papa Francesco”: dentro ci abitano 11 bambini e una suora, coadiuvati da una squadra affiatata di educatrici, animatrici e volontari. E’ un posto bellissimo: la casa è moderna e ristrutturata, contornata da un giardino e impreziosita dall’accesso pedonale al mare. “Non siamo una famiglia classica, con un babbo, una mamma e i figli; ma noi ci sentiamo comunque una famiglia”, racconta la capitana, suor Raffaella al momento del primo giro di nomi e della prima presentazione. Seduti sul prato in giardino ci sono i bambini della casa famiglia e una bella rappresentanza degli Allievi dell’Orlando Calcio (accompagnati dal mister e dall’allenatore in seconda) che è la squadra livornese protagonista del progetto Figc “Non Solo Piedi Buoni”. I giovani calciatori della formazione biancoblu del quartiere Corea verranno a gruppetti ogni venerdì pomeriggio qui alla casa famiglia per fare amicizia con i bambini e con gli adulti che se ne prendono cura ogni giorno. “Per dare una mano qui, ragazzi, avete l’imbarazzo della scelta”, sorride suor Raffaella: “Passando diversi venerdì pomeriggio con noi potrete imparare per esempio come si cambia il pannolino a un neonato, che è una cosa che magari fra un po’ di anni vi tornerà utile; oppure giocare con loro a pallone ed altri giochi qui in giardino, o aiutare i bambini a fare i compiti o suonare e cantare insieme a loro…”. I bambini e le bambine sembrano non vedere l’ora di testare le capacità tecniche calcistiche dei loro prossimi compagni di gioco e fratelli maggiori: “Io sono un portiere!”, si candida Irene, 8 anni. “Io invece sono bravissimo all’attacco”, si presenta Bayram. E difatti, dopo cinque minuti è già tempo di torello nel giardino della casa famiglia, con un pallone spuntato fuori a tempo di record mentre lo staff della casa famiglia allestisce una merenda in onore dei nuovi compagni di avventura dell’Orlando Calcio. I bambini ci fanno visitare la casa e ci portano a vedere tutte le camere e gli spazi comuni, consegnandoci la realtà di una casa animatissima ma anche organizzatissima, con orari precisi da rispettare (per la sveglia, lo scuolabus, i compiti, la merenda…) e ragazzini e bambini di età diverse chiamati ad aiutarsi fra di loro. Poi, nella parte finale dell’incontro introduttivo, suor Raffaella ci chiama in disparte, lontano dai bambini, per fornire ai ragazzi dell’Orlando le informazioni più delicate riguardo il gemellaggio fra Orlando Calcio e Casa Papa Francesco che sta per cominciare. “Avete visto i bimbi come sono sereni, sorridenti e pieni di gioia? Io per questi bimbi andrei pure in cielo ad acchiappare le stelle, per renderli felici. Questo posto è bello, ragazzi, e speriamo che anche voi possiate sentirvici a casa, ogni volta che ci verrete a trovare. Questi bambini hanno bisogno di aiuto e di amore perché arrivano da situazioni familiari difficilissime: i servizi sociali e i tribunali dei minorenni non è che allontanino i bambini dai genitori per motivi banali; si tratta quindi di bimbi che hanno sofferto, e che spesso continuano a soffrire quando tornano qui dopo gli incontri periodici con i loro genitori. Questo per farvi capire che il tempo e il cuore che metterete in questi incontri con noi fino a maggio hanno un valore grande. Io sono sicura che stasera quando rivedrò i bimbi senza di voi sarà tutto un parlare della vostra squadra: quando torneranno, come saranno, come giocheranno… Quindi vi aspettiamo a braccia aperte, e ovviamente da oggi faremo anche noi il tifo per l’Orlando, e qualche volta vi verremo a vedere al campo Pitto”.

Il campo Pitto è il luogo imprescindibile dove i ragazzi e mister Valerio si dirigono già subito dopo aver detto arrivederci ai bambini e a suor Raffaella. Al campo Pitto ci faccio un salto anche io, per vedere la squadra all’opera nel suo habitat naturale: un terreno di gioco glorioso, per la città di Livorno, dove non cresce nemmeno un filo d’erba e dove decine e decine di calciatori di tutte le età si alternano ogni pomeriggio dell’anno. Oggi per esempio insieme ai miei Allievi ci sono ad allenarsi i Giovanissimi e i Pulcini, e sempre nello stesso vissutissimo campo a 11 arrivano a riscaldarsi altre due squadre (Livorno 9 e Stagno) che si sono accordate per giocare qui una amichevole pre-campionato. “Hai visto che bel casino?”, mi sussurra all’orecchio Valerio, che oltre che allenare gli Allievi è un po’ il dirigente factotum di tutto l’Orlando Calcio. Valerio è un uomo di mezza età ma il suo temperamento e il suo carisma sono da vecchio saggio. “Io non so come faccia a conoscere per nome centinaia di ragazzi, come faccia a tenere tutto insieme, il suo lavoro all’ospedale, e poi tutte queste squadre…” si meraviglia ogni giorno come fosse il primo suo fratello Daniele, allenatore in seconda degli Allievi biancoblu. “Il nostro girone è tutto con squadre in provincia di Livorno. Ci sono tante squadre come noi, che hanno sede in città e che risentono di un bel “rigirìo” di giocatori che ogni anno passano con facilità dalla squadra di un quartiere a quella del rione vicino; e poi ci sono le squadre dei paesi della costa, dell’entroterra, perfino una squadra all’Elba. Noi non siamo fra le più forti ma neanche fra le più deboli. Prime dell’inizio del campionato siamo arrivati in finale in un torneo, ed eravamo in vantaggio fino a quasi il 90’. Sono orgoglioso di questi ragazzi e di questo gruppo, che ho visto crescere negli ultimi anni. La nostra società fa tanto sociale e tanta accoglienza per ragazzini di tante culture diverse che non possono permettersi la retta. Il nostro è calcio popolare nel vero senso della parola. Ma è anche un calcio che ci dà delle soddisfazioni. Sul campo di gioco, e anche sul campo della vita, dove cerchiamo di insegnare ai nostri ragazzi a giocare sempre con il cuore”.

 

A.S.D. NUOVA GROSSETO BARBANELLA

L’allenatore Giampaolo e il dirigente Carmelo hanno convocato tutta la squadra in un parcheggio all’inizio della strada del mare. I calciatori della Juniores della Nuova Grosseto Barbanella arrivano alla spicciolata, chi col motorino e chi con la macchina, tutti con la divisa sociale amaranto della loro società di appartenenza. Sembrano pronti per infilarsi negli spogliatoi e prepararsi a scendere in campo. Solo che intorno a questo parcheggio non si vedono né palloni né rettangoli verdi. E i ragazzi difatti non hanno nemmeno i borsoni da calcio con loro. Si tratta, insomma, di un allenamento molto speciale: il primo appuntamento del progetto educativo “Non solo piedi buoni”, che propone a questi giovani atleti grossetani un percorso di amicizia e di volontariato lungo un anno presso la sede dell’associazione “La Farfalla”, specializzata in cure palliative per malati di tumore. Il progetto entra nel vivo all’inizio di questo mese, quando i ragazzi cominceranno ad alternarsi tutti i lunedì pomeriggio a piccoli gruppi in questa palazzina molto accogliente e luminosa, ma anche carica di sofferenza e di richieste di aiuto. Intanto però, nell’incontro preliminare di oggi pomeriggio, la Juniores della Nuova Grosseto si è presentata a ranghi compatti, per rompere il ghiaccio e prendere confidenza con questo luogo importante. A fare gli onori di casa è Loriana, presidente dell’associazione: una maestra in pensione che a titolo di volontariato si dedica a coordinare il lavoro di tanti professionisti (medici, infermieri, psicologi) ai quali i malati oncologici ospiti qui si affidano per le terapie. “Vi vedo così attenti e così pensierosi. Immagino che in questo momento vi starete chiedendo: ma noi ragazzi che giochiamo a pallone e che ci prepariamo a lavorare in altri campi rispetto a quello sanitario, noi qui che ci stiamo a fare? A cosa possiamo servire?”. L’interrogativo di Loriana sembra cogliere nel segno. Ma subito viene riempito dalle parole rassicuranti e fiduciose della stessa presidente della Farfalla, e anche del mister Giampaolo e di uno dei giovani calciatori. “Penso che noi, alle persone che vengono qui a curarsi, possiamo portare la nostra compagnia e la nostra amicizia, che non è poco”, argomenta l’allenatore dei ragazzi, che nella vita dirige una casa di riposo per anziani: “A seconda dell’età dei pazienti che Loriana e i suoi collaboratori ci faranno incontrare parleremo di calcio, cioè della nostra grande passione, in un modo diverso: coi più giovani parleremo di fantacalcio, mentre ai più anziani magari chiederemo di parlarci di Rivera e Mazzola. E poi a partire dal calcio parleremo di noi, e chiederemo a queste persone se vogliono raccontarci chi sono loro, per imparare un po’ dalla loro vita al di là della malattia”. Poi interviene anche Diego, uno degli attaccanti della squadra amaranto: “E’ una proposta che non ci aspettavamo. Per noi sarà una stagione ancora più piena di sfide. Già abbiamo da affrontare un campionato regionale in cui arriviamo da neopromossi, con trasferte anche di 200 km. E ora questo gemellaggio con la Farfalla…

Noi Juniores della Nuova Grosseto comunque siamo un bel gruppo: tanti di noi sono cresciuti insieme accomunati dalla stessa passione per il calcio. E’ un impegno difficile, quello che ci proponete: stare vicino a delle persone gravemente malate non è uno scherzo. Però sono le prove difficili quelle che fanno crescere, anche a livello di gruppo squadra. Penso che se riusciremo a fare amicizia con queste persone che incontreremo alla Farfalla diventeremo ancora più uniti, e questo ci servirà anche quando andremo in campo”.

Questo spirito di famiglia di cui parla Diego si percepisce facilmente anche al campo sportivo della Nuova Grosseto, dove tutti insieme ci trasferiamo alla fine dell’incontro. Il dirigente Carmelo mi carica sul pulmino e mi fa sentire subito uno di loro. “C’è un bel pezzo di sud Italia nella dirigenza della nostra società. Io sono di Catania, il presidente è di Napoli, ma anche diversi genitori dei nostri ragazzi sono nati nel mezzogiorno e si sono trasferiti qui a Grosseto da giovani: alcuni, come anche nel mio caso, per andare a lavorare nei corpi dello stato, Esercito e Aereonautica, che qui a Grosseto hanno delle caserme importanti. E’ bello questo incrocio fra Toscana e meridione che viviamo nella nostra società. C’è tanta organizzazione, c’è voglia di rinnovarsi, anche nelle strutture: per esempio il nuovo fondo del campo principale in erba sintetica, che abbiamo in programma di sostituire a breve. Però c’è anche tanto cuore, tanto senso di buon vicinato, tante porte aperte. Ci sono i ragazzi disabili che vengono a giocare sul campo insieme a noi, ci sono le famiglie che hanno bisogno del nostro pulmino per un trasporto speciale e noi gli diamo le chiavi e prestiamo gratis il mezzo; ci sono i ragazzi che festeggiano qui i compleanni e noi gli lasciamo le chiavi del bar; c’è anche chi non ha il giardino in casa e vuole fare una grigliata all’aperto con gli amici, e noi gliela facciamo fare qui al campo, anche se magari è un genitore di un ragazzo appena arrivato e che conosciamo appena. Qui alla Nuova proviamo a fidarci, a dare le chiavi, a responsabilizzare, sapendo che poi qualche volta va bene e qualche volta va meno bene. Ma se vogliamo crescere insieme come società la parola chiave non può che essere proprio la fiducia. Credere nelle persone, condividere quello che si ha, aiutare le persone diverse a incontrarsi, e rispondere presente a inviti come quello di Non Solo Piedi Buoni”.

U.S.D. FOLGORE SEGROMIGNO PIANO

 

Nella sede di una delle tante società di calcio giovanile disseminate nella piana fra Lucca e Montecatini, c’è un quadretto appeso al muro che salta agli occhi in mezzo a tante coppe e gagliardetti: è il primo piano di una faccia che sorride; ritrae un uomo coi capelli bianchi e con lo sguardo bonario; sembra quasi la foto del presidente della repubblica che si trova affissa negli uffici dei funzionari pubblici ed in effetti, anche in questo caso, di un presidente si tratta. Non della repubblica, però, ma più modestamente della Folgore Segromigno Piano. “Alfredo Chelini è stato il fondatore di questa squadra di calcio, nel 1962: questo campo sportivo è nato con lui; e da lì in poi il presidente non è più cambiato; sempre Alfredo, fino a tre anni fa, quando il nostro presidente è morto a causa di una malattia cardiaca”. A raccontarmi la storia della Folgore Segromigno che si dischiude a partire da questo volto luminoso da nonno felice è Massimo Pascale, informatico di professione e direttore sportivo del Segromigno per passione. Lui è stato il primo dirigente a credere nella proposta arrivata qualche mese fa dalla Figc per far partecipare i ragazzi giallorossi di questo paesino in comune di Capannori al progetto “Non Solo Piedi Buoni”. “Io ho conosciuto di persona il presidente Alfredo solo negli ultimi anni – mi racconta Massimo, seduto orgogliosamente alla scrivania della sede – essendo arrivato qui nel 2014, come tanti genitori che si avvicinano per iscrivere il proprio bambino alla squadra di calcio, e subito vengono rapiti da questa giostra bellissima fatta di sport di base e di socialità. La figura e l’esempio di Alfredo mi sono entrate subito nella testa e nel cuore: e ancora oggi è il suo stile a guidare le nostre scelte societarie piccole e grandi, compresa quella di aderire a questo progetto educativo e sociale per i nostri ragazzi degli Allievi. Alfredo c’era, quando a Segromigno e nei paesi vicini alle porte di Lucca si stabilì una comunità di immigrati marocchini molto numerosa. Fu lui a spronare i dirigenti a fare di tutto perché i figli di questi immigrati potessero giocare a calcio con noi, facendo tutto il possibile per superare gli ostacoli di tipo logistico ed economico. Ancora oggi i bambini e i ragazzi di origine marocchina sono tanti, nelle varie squadre giovanili della Folgore Segromigno Piano. Io spesso e volentieri accompagno questi bambini a casa in macchina nei paesi vicini, dopo l’allenamento. La mamma di uno di questi bambini quando vede tornare il figlio a casa con la mia macchina mi saluta piena di gratitudine e mi riempie di regali sfiziosi, dal pane arabo al cous cous per la mia famiglia. E io torno a casa felice”.

Massimo mi racconta questo aneddoto non a caso: la mission affidata dal progetto “Non Solo Piedi Buoni” alla squadra Allievi del Segromigno, infatti, ha proprio a che fare con l’immigrazione, l’accoglienza e l’inclusione di chi è appena arrivato da lontano sul nostro territorio: per la precisione, i giovani virgulti della squadra giallorossa di Capannori si sono gemellati con la cooperativa Odissea, che proprio a Capannori gestisce due appartamenti in cui vengono ospitati una decina di ragazzi intorno ai 18 anni di età e reduci da viaggi terribili in fuga da miseria, violenze e assenza di futuro. Oggi al campo sportivo tre “angeli custodi” di questi ragazzi sono venuti insieme a me a far visita al Segromigno per incontrare per la prima volta la squadra al termine dell’allenamento: e insieme a loro c’erano anche alcuni dei ragazzi africani da loro ospitati nel centro di accoglienza. “Questi ragazzi vostri coetanei che presto conoscerete, si sono lasciati alle spalle prima e durante il viaggio per l’Italia delle esperienze drammatiche di cui ancora portano i segni a livello esistenziale – ha spiegato alla squadra Valentina – e quando i ragazzi arrivano da noi il rischio è quello che si lascino vincere da queste ferite, dalla sfiducia e dall’isolamento. Per questo siamo davvero felici di fare amicizia con voi! Ogni giovedì, alla fine del vostro allenamento, inviteremo a rotazione tre di voi nei nostri due appartamenti: ci inventeremo dei modi divertenti per passare un paio d’ore tutti insieme; magari una serata in cui ci metteremo tutti in cucina a fare da mangiare mescolando le nostre tradizioni culinarie, o un’altra serata in cui i nostri ospiti provenienti dal Pakistan vi insegneranno a giocare a cricket nel parco vicino a casa… Per voi, oltre alla possibilità di fare qualcosa di importante e decisivo nella storia di questi ragazzi, sarà anche una bella possibilità per imparare tanti annessi e connessi che girano intorno al tema delle migrazioni: i viaggi illegali a causa del divieto di poter salire su un aereo, il sistema della prima accoglienza, le difficoltà da superare per ottenere i documenti, e poi la sfida dell’inserimento a scuola, per imparare l’italiano e ottenere una qualifica lavorativa. Tutto questo, attraverso lo stare insieme con noi e con i nostri ragazzi, emergerà e vi darà delle conoscenze di educazione civica e di diritto che spesso la scuola non dà in modo sufficiente”. La nostra “allenatrice” Valentina termina il suo discorso: poi prendono la parola i ragazzi della squadra Allievi del Segromigno che ci presentano il gruppo, ci parlano del loro campionato appena iniziato, e danno la propria disponibilità a questo gemellaggio speciale targato “Non Solo Piedi Buoni”. Il cerchio a questo punto può sciogliersi, ma prima dei saluti c’è tempo per una bella foto di gruppo tutti insieme. Ci diamo il cinque e ci facciamo gli auguri a vicenda. Che sia una stagione giallorossa memorabile. In campo e fuori.

U.S.D. DON BOSCO FOSSONE

 

L’ultimo paesino toscano lungo l’Aurelia, prima del confine con la Liguria, si chiama Fossone. Una frazione di Carrara chiamata così, raccontano gli abitanti più anziani, perché sorge su un terreno pianeggiante e non rialzato, quasi incastrato fra il mare e le montagne, dove soprattutto in anni passati gli allagamenti in caso di forti piogge erano all’ordine del giorno, con i tanti fossi e canaletti costruiti per irrigare i campi che si gonfiavano fino a trasformare questo piccolo borgo contadino in una specie di piscina. Oggi però le cose sono molto cambiate, non solo a livello idrogeologico ma anche socioeconomico: da paese di mezzadri e di campagne, Fossone è diventato ormai quasi un quartiere di Carrara; un quartiere che però a livello urbanistico conserva qualcosa della vocazione agricola originaria. Le case sono rimaste abbastanza sparse e a misura d’uomo, senza palazzoni a tanti piani e la campagna esiste ancora, con diversi spazi di prato a colorare il paesaggio fra un’abitazione e l’altra. “Su uno di questi prati tanti anni fa ho visto nascere il campo di calcio del Fossone”, mi racconta Giorgio Boni, ex operaio metalmeccanico e storico presidente della squadra del paese: “La prima partita ufficiale qui è stata giocata nel 1989, ma noi su questo prato ci allenavamo fin dal 1970, quando il prete di Fossone ci aiutò a fondare la società sportiva. Io ero un difensore centrale leale ma molto arcigno, marcatore a uomo vecchio stampo. Le partite di Terza Categoria le giocavamo in un altro campo di Carrara, mentre gli allenamenti, come ti dicevo, li facevamo qui, anche se nei primi anni non c’erano nemmeno gli spogliatoi. Ci allenavamo di sera, come tutti i dilettanti, e allora ci attrezzavamo con i fari delle nostre macchine tenute col motore acceso a bordo campo al posto dei riflettori che non avevamo”. Il sogno di trasformare il prato in mezzo ai campi in un terreno di gioco omologato dalla Figc si realizzò dopo la metà degli anni 80 grazie a un regalo grottesco e inaspettato: “Il comune di Carrara ovviamente ci dette una mano, e tanti di noi giocatori e volontari ci prodigammo come manovali; ma la cosa più importante, cioè il baracchino adibito a spogliatoi, ci arrivò nientemeno che dal Friuli; era una piccola casa in prefabbricato usata a Udine nei primi anni dopo il terremoto. Noi avevamo un amico friulano che si era trasferito a lavorare a Carrara che ci propose questa donazione, una volta che la ricostruzione del Friuli aveva già bruciato le tappe. Per noi vedere il nostro campo di gioco di infanzia trasformato in un campo di calcio regolamentare, seppure molto arrangiato, fu un sogno che diventava realtà: io avevo già smesso di giocare da due anni, avevo già superato i 40, ma per la partita inaugurale del Fossone nel suo campo di casa in Terza Categoria, intitolato a mio cugino, nel 1989, tornai in campo anche se solo per una partita. Un addio al calcio che non dimenticherò mai”.

Addio solo al calcio giocato però, visto che la storia d’amore fra Giorgio e il Fossone non è mai finita e va avanti tuttora. “La nostra ispirazione è sempre stata l’inclusione sociale. Noi del Fossone oggi come ieri cerchiamo di accogliere tutti, a partire da chi è scartato da altre realtà: il ragazzino che ha una situazione familiare complicata, ma anche chi ha un fisico troppo cicciottello o troppo magrolino, qui da noi ha la precedenza sugli altri a livello di scuola calcio, perché ha più bisogno degli altri e noi non vogliamo rischiare che questo ragazzino più fragile resti senza amici. Mi ricordo gli anni 80 con la piaga della droga che arrivò dilagante anche da noi a Carrara. All’epoca come dirigente mi dava una mano un mio amico vigile urbano, che conosceva la città e il lungomare palmo a palmo: andavamo io e lui in tutti i bar e in tutti i ritrovi più a rischio per gli adolescenti, interrompevamo le loro conversazioni e invitavamo tutti a Fossone ad allenarsi con noi. Al tempo il reclutamento era così, porta a porta, bar dopo bar, altro che email!”. L’ultima tappa importante nella storia del Fossone è datata 2012, anno della fusione con l’Oratorio Don Bosco, un’altra storica società di calcio carrarese. “Un giorno si presentò da me una ragazza spigliatissima e piena di energia: si chiamava Marina, era la direttrice del Don Bosco Calcio; mi disse che loro avevano tanti ragazzini tesserati ma ultimamente facevano fatica a trovare un campo dove allenarsi e giocare. Quella richiesta ci arrivò proprio nel momento giusto, perché noi l’anno prima avevamo posato l’erba sintetica nel nostro campo a Fossone, e con i lavori durati tanto tempo avevamo perso parecchi tesserati. E’ proprio vero che l’unione fa la forza”. E così da 12 anni ecco a voi il Don Bosco Fossone, che ha fuso le due società originarie in un unico nome e in un’unica maglia dai colori giallo, rosso e blu. “Anche l’intesa fra me e Marina è perfetta, a proposito di fusione”. Marina che peraltro nel Don Bosco Fossone non è una mosca bianca, a livello di presenza femminile: anno dopo anno, il presidente Giorgio sta diventando sempre di più beato fra le donne. “La responsabile della scuola calcio è una donna anche lei, si chiama Valentina e ha tutti i patentini e le licenze possibili e immaginabili. Fa l’infermiera in ospedale nel reparto pediatria e ha un figlio piccolino che porta al campo quasi ogni pomeriggio con sé, e io mi sento quasi suo nonno giocandoci tutti i giorni”. Il Don Bosco Fossone oggi è una grande famiglia con quasi 500 tesserati, fra atleti (più di 300), tecnici e dirigenti. Fra le tante squadre di Fossone ai nastri di partenza quest’anno ci sono anche gli Allievi provinciali, che nei prossimi mesi parteciperanno al progetto Figc “Non Solo Piedi Buoni” in rappresentanza della provincia di Massa-Carrara. “E’ una squadra forte, affiatata, cresciuta insieme, che ha le carte in regola per fare un campionato di vertice”, si lecca i baffi il presidente Giorgio mentre osserva i suoi ragazzi e i loro due allenatori sgambettare sul campo a inizio allenamento: “Per crescere ancora gli manca qualcosina dal punto di vista caratteriale, saper reagire senza disunirsi alle difficoltà, a una partita che inizia in salita… Penso che questo allenamento di educazione civica che faranno durante l’anno andando a fare amicizia con i nonni del circolo pensionati di Marina di Carrara li aiuterà a migliorare anche come squadra. Dentro i racconti di noi vecchi ci sono tanti insegnamenti, anche a livello di difficoltà da superare, di sacrifici, di solidarietà. So che con i pensionati del circolo i ragazzi della nostra squadra faranno anche diverse gite dentro e intorno a Carrara, imparando tante storie e tanti luoghi nascosti della nostra città. Un bel modo per aiutare i nostri ragazzi a rendersi conto che sì, sul telefonino ci sono scritte tante cose importanti; ma imparare la vita e la nostra città ascoltando, guardando negli occhi, facendo amicizia, viaggiando e toccando con mano è un’emozione unica che la tecnologia non potrà mai superare”.

 

A.C. CAPOSTRADA BELVEDERE

 

Ci sono dei calci di rigore che cambiano la storia. Che fanno vincere o perdere trofei, che realizzano sogni e creano i presupposti per cullarne di nuovi. Uno di questi rigori-spartiacque, per esempio, è all’origine della nascita di una società di calcio. Un rigore vecchio di 45 anni, ormai, ma che Fabio Fontana, il presidente del Capostrada calcio, lo ricorda come se fosse ieri. “Era l’estate del 1980, io all’epoca ero un calciatore amatoriale che aveva smesso da poco. Dirigevo una squadra di amatori proprio a Capostrada, il quartiere di Pistoia ai piedi dell’Appennino dove abitavo e dove abito tuttora. Questa squadra di amatori era discretamente forte, e così in quell’estate decidemmo di iscriverci al torneo di Porretta Terme: un appuntamento clou del calcio amatoriale delle nostre zone, con decine di squadre provenienti da diverse regioni italiane. Il montepremi era di quelli che facevano sognare: l’equivalente di quasi 10mila euro dei giorni nostri. Nei primi turni eliminatori giocavamo con spensieratezza. Però vincevamo, vincevamo ancora, e piano piano il sogno della finale cominciò a diventare sempre più a portata di mano. Le fantasie su come spendere quei tanti milioni di lire in palio imperversavano sempre di più nelle nostre chiacchiere alla casa del popolo, tra una partita e l’altra del torneo di Porretta. Tutta la squadra si trovò concorde su un progetto: se avessimo vinto il torneo, il ricco montepremi lo avremmo usato per fondare una società di calcio giovanile nel nostro quartiere. Il campo di calcio già c’era: era quello della parrocchia, il glorioso “Legno Rosso” che è tuttora la nostra casa. Ma nel 1980 ci giocavano solo i ragazzi del gioco libero e gli amatori. Noi invece volevamo creare una squadra vera, per i bambini e i ragazzini di diverse annate. Non avevamo un piano B, come risposta alla domanda “dove trovare i soldi per comprare tutto il materiale tecnico e iscriverci ai diversi campionati giovanili”: l’unica strada per partire subito e fondare il Capostrada era vincere il torneo di Porretta”. E così arrivò il giorno della finalissima, nella quale Fabio e i suoi ragazzi si trovarono di fronte la favoritissima Centese: “Gli avversari venivano dalla Romagna, erano molto più forti di noi, ma noi restammo umili e facemmo catenaccio dal primo all’ultimo minuto, supplementari compresi. Ci aggrappammo allo 0-0 come dei naufraghi alla ciambella di salvataggio. Lo 0-0 più bello della mia vita”. Già, perché grazie a quello 0-0 i giovanotti di Capostrada si conquistarono l’epilogo della finale con i tiri dagli undici metri. “Fino al quarto rigore sia noi sia la Centese segnarono. Poi, proprio all’ultimo rigore, uno della Centese calciò a lato. A quel punto segnare l’ultimo rigore avrebbe voluto dire vincere e portare a casa il montepremi. Mi ricordo ancora il nostro regista di centrocampo Fabio, che andò a calciare il tiro decisivo. Prima di andare al dischetto si fermò nel cerchio di centrocampo e mi sussurrò: “Fabio avviati, vai a prendere l’assegno”. Per la serie, scaramanzia zero. Io invece mi toccai da tutte le parti, ma aveva ragione lui. Il rigore fu trasformato, e da lì è cominciata la nostra storia”. A volte quando c’è da dividere un ricco premio in denaro il rischio è quello di rompere improvvisamente la comunione di intenti e andare a litigare: invece Fabio e i suoi amici del quartiere restarono fedeli alla loro promessa anche a giochi fatti. E così, detto fatto, il Capostrada iscrisse (proprio con i soldi vinti al torneo di Porretta) le prime due squadre giovanili ai campionati Figc.

Avanti veloce di 45 anni. Il vissutissimo campo sportivo “Legno Rosso” porta il peso di migliaia e migliaia di partite e allenamenti: in compenso il comune di Pistoia ha trovato i soldi per ristrutturarlo, ammodernando campo in erba sintetica, spogliatoi e pizzeria del centro sportivo. “Ci vorranno due anni di esilio, ma poi la nostra casa sarà un gioiello!”, gongola Fabio, che dopo 45 anni è ancora il presidente del Capostrada calcio, diventata nel frattempo una delle realtà sportive giovanili più apprezzate in città. “Il nome Capostrada corrisponde a malapena a un quartiere: è l’ultimo incrocio a nord della città, prima dell’inizio della salita dell’Abetone, con un po’ di case intorno e una chiesa. E poi ci siamo noi pallonari, che con la nostra squadra facciamo fare sport e aiutiamo a diventare grandi centinaia di ragazzini. Quest’anno ne abbiamo tesserati 300. I bimbi delle prime squadre degli anni 80 ora sono genitori e portano al campo i loro figli. Di generazione in generazione, col Capostrada nel cuore. Siamo o non siamo una grande famiglia?”. Fabio fra l’altro conosce davvero tutti, da buon capostipite, in questa grande famiglia aranciobu nata dal calcio di rigore di Porretta Terme. E al campo chiama tutti per nome. “Sono vecchio ma per fortuna non ancora sonato. E sono proprio contento che la Figc abbia pensato anche alla nostra squadra Juniores per partecipare al progetto educativo Non Solo Piedi Buoni. Loro i piedi ce li hanno discreti, a dir la verità, perché fanno il campionato regionale. Però di buono hanno soprattutto il cuore. Sono ragazzi in gamba, cresciuti insieme, che rispettano gli altri e che sanno prendersi la responsabilità. Sono sicuro che andando a trovare tutti i mercoledì i detenuti del carcere della nostra città faranno un bel lavoro, incoraggiandoli e imparando tante cose dai loro sbagli e dalla loro voglia di ricominciare. Guarda, già che ci sono do anche il mio documento al carcere, così una volta vengo anch’io a giocare a calcetto alla casa circondariale. Se mi riesce porto anche Fabio, che anche lui oggi ha i capelli bianchi ma gioca ancora a calcetto con gli amici. Dobbiamo fargli vedere quest’ultima cosa bella che sta nascendo sempre grazie al suo calcio di rigore da cui la nostra favola è iniziata”.

A.C.D. BIBBIENA

A Bibbiena, il paese più popoloso fra i centri abitati alle pendici dei monti del Casentino (sulla strada che dopo il passo della Consuma scende verso Arezzo), c’è un campo sportivo bellissimo, in erba naturale, in mezzo alle case e a pochi passi dalla stazione. Per la gente del posto è il “campo Ferrovia”. A differenza dello stadio, che si trova nella parte più alta del paese e dove vengono disputate le partite più importanti, qui al campo Ferrovia si viene soprattutto per allenarsi. Io ci arrivo nel bel mezzo di un pomeriggio nuvoloso, ventoso e molto autunnale: eppure il via vai festoso di atleti di tutte le età è così bello da riscaldare il cuore più del giacchettino appena tirato fuori dall’armadio. Bambini, ragazzini, ragazzi e amatori si dividono tre campi di gioco (solo uno dei quali regolamentare) e i rispettivi spogliatoi. Al contempo intorno al prato verde un bel manipolo di genitori e di nonni chiacchiera animatamente chiamandosi non per nome ma per soprannome: “Stagnino!” “Grillone!” “Mocca!” “Dumbo!”, il clima insomma è da strapaese. Sono appena arrivato, nessuno mi conosce, ma già ho trovato un signore coi capelli bianchi che mi racconta vita, morte e miracoli del Bibbiena. “Il nostro Maradona non si chiama Diego Armando, ma Emanuele. Per tutti è Giaccherini. Te lo ricordi no, in Nazionale, nella Juve, nel Napoli, in Inghilterra?”. Certo che me lo ricordo! Il ct Antonio Conte lo aveva ribattezzato Giaccherinho, per il suo guizzo da ala sudamericana e la sua eleganza nel tocco di palla e nell’uno contro uno. Però mai e poi mai mi sarei immaginato che Giaccherini fosse partito da qui, dal campo Ferrovia. “Lui abitava e abita ancora oggi a Talla, un paesino a pochi chilometri da qui. A 16 anni avrebbe dovuto giocare negli Allievi, ma essendo un fenomeno il mister lo buttò nella mischia in prima squadra, in Promozione. Cominciò benino ma durante l’inverno ebbe uno scontro di gioco violentissimo con il portiere avversario. Si fermò, gli prese paura, non voleva più tornare a giocare! E il Bibbiena era finito in zona retrocessione. Io all’epoca guidavo il pulmino per andare a prendere i ragazzi a casa e portarli al campo. Passavo sempre da casa sua, provavo a convincerlo: dai, torna a giocare! Un bel giorno a inizio primavera tornò. Fece 8 gol in poche partite, un extraterrestre. Ci salvammo. Il Cesena si accorse di lui, e la sua carriera da professionista iniziò. Lui è partito da qui, da Bibbiena. Ora Emanuele fa il commentatore per Dazn, però ogni volta che lo invitiamo, più volte all’anno, viene a trovarci qui al campo Ferrovia. La sua presenza è un bello stimolo per i nostri ragazzi”.

Fra i tanti bambini e ragazzi che sognano di imitare le serpentine di Giaccherini c’è anche una squadra Allievi appena nata: “Fino a qualche mese fa eravamo deboli nell’annata degli attuali under 17 – mi racconta Giacomo, il responsabile settore giovanile della società rossoblù – ma in estate diversi ragazzi in arrivo da un’altra squadra del Casentino ci hanno dato manforte e così eccoci qui, con una squadra in più ai nastri di partenza”. E’ proprio in onore di questa squadra nuova di zecca che oggi mi sono spinto fin quaggiù, per presentare agli Allievi del Bibbiena il progetto Figc “Non Solo Piedi Buoni” a cui prenderanno parte in rappresentanza della provincia di Arezzo. Ad ascoltare la presentazione, oltre ai vivacissimi e simpaticissimi giovani calciatori (quelli con la parlantina più pronta fra le squadre incontrate in giro per la Toscana) ci sono anche il presidente Fausto e tanti genitori con gli occhi raggianti. “Il Bibbiena è loro” riprende improvvisamente il filo del discorso Stagnino, il primo autista di Giaccherini ai tempi delle giovanili del Bibbiena, dotato di un eloquio schietto e illuminante: “I presidenti del calcio giovanile oggi sono le famiglie. Senza la loro presenza, il loro volontariato e i loro soldi qui non ci sarebbe niente. Il nostro scopo come dirigenti del calcio giovanile è prima di tutto fare contenti loro, i nostri veri azionisti di maggioranza, i babbi e le mamme, attraverso il servizio che facciamo ai ragazzi”. Io nel frattempo mi presento ai ragazzi e faccio del mio meglio per tirare la volata ad Andrea Gennai, il direttore dell’Ente Parco Foreste Casentinesi, che fra poco diventerà per questi sedicenni del Bibbiena un allenatore sui generis di educazione civica per conto della Figc: “Ogni giovedì pomeriggio faremo una piccola escursione. Vi porterò a conoscere dei luoghi del Parco, delle attività e delle persone speciali, che danno la vita per prendersi cura delle bellezze naturalistiche e degli animali del nostro territorio. Ci sarà anche da rimboccarsi le maniche, perché abbiamo bisogno del vostro aiuto. Ma ci sarà soprattutto da divertirsi e da imparare”. I giovani calciatori e Andrea iniziano a scambiarsi nomi di località all’interno del Parco che io, da animale metropolitano del Valdarno inferiore, non conosco nemmeno lontanamente ma che non vedo l’ora di scoprire nei prossimi mesi insieme ai ragazzi. Gli azionisti di maggioranza (alias i babbi e le mamme) dal canto loro applaudono a scena aperta e già avanzano auto-candidature: “Scusate, possono partecipare alle escursioni anche i genitori?”. Andrea mi fa l’occhiolino e mi risponde compiaciuto: “Tommaso, hai visto? Ecco trovati gli autisti di riserva”.

G.S. BELLARIA CAPPUCCINI

Da bambino e fino all’età delle superiori ho giocato portiere in una squadra di Pontedera chiamata Bellaria Cappuccini. Il campo dove ho vissuto i miei (rari) momenti di gloria fra i pali è stato dismesso una quindicina d’anni fa, per fare spazio a una nuova zona residenziale. In compenso la Bellaria esiste ancora. Il centro sportivo della mia infanzia è stato ricostruito in grande stile a poche centinaia di metri da quello originario, sempre nel quartiere dell’ospedale e della chiesa dei frati da cui la società prende il nome. Il nuovo centro sportivo, ricostruito con i soldi incassati dalla vendita del vecchio campo di gioco, è diventato un punto di riferimento nella città della Vespa per tantissimi sport: dal calcio al rugby, dalla pallavolo al calcetto fino alla pallacanestro. Rispetto ai miei tempi è quindi cresciuto tantissimo il numero dei giovani atleti, e con esso la struttura organizzativa. Tuttavia è bello per me constatare come anche a distanza di 30 anni alcuni punti fermi in carne e ossa dello staff dirigenziale siano rimasti gli stessi di quando c’ero io, in mezzo a tanti cambiamenti ed evoluzioni. Il “mio” presidente Piero Becattini, per esempio, che quando io ero il portiere della Bellaria esordienti era un ferroviere-ciclista nonché presidente della società di calcio, è cresciuto di grado: presidente onorario, capostipite, splendido ottantenne sempre al campo sportivo e sempre pronto ad accogliere, salutare vecchi amici e dare consigli utili. E poi l’altro Piero, Vetturi: all’epoca direttore sportivo, e anche lui operativo al massimo oggi come ieri dietro la scrivania della sede e intorno ai campi da gioco dei tanti sport praticati qui alla Bellaria. E’ proprio grazie all’amicizia rimasta nel tempo con questi due Pieri che il progetto della Figc “Non solo piedi buoni” ha bussato anche alle porte della Bellaria Cappuccini, trovando fin da subito un’accoglienza entusiasta. “Vuoi sapere la mia? Dovresti proporre di partecipare a una delle nostre squadre femminili”, fu il primo consiglio del presidente onorario Piero, con annesso numero telefonico di un dirigente della Bellaria calcio femminile da chiamare. Consiglio seguito senza indugio, visto che nel roster delle squadre partecipanti a questo progetto una squadra di ragazze ancora mancava. 

Una telefonata, un incontro, una riunione… Durante l’estate la tela è stata tessuta con pazienza fra me, i dirigenti Marco e Giampaolo e l’educatore Lorenzo, responsabile della comunità per minori di Pontedera con la quale le bimbe dell’under 17 della Bellaria sono state invitate a gemellarsi in questa stagione che sta per iniziare. Eccoci finalmente alla presentazione ufficiale insieme alle ragazze e ad alcuni loro genitori. Io, i dirigenti della Bellaria e Lorenzo della comunità per minori le incontriamo nel salone del ristorante della società sportiva adibito per l’occasione a sala riunioni, con tanto di slide e proiettore sullo sfondo. Le ragazze ci raccontano di essere l’ultima creatura del settore giovanile femminile della società verdeblù: “Per noi la chiamata della Bellaria è stata una benedizione, perché fino all’anno scorso giocavamo nell’Empoli che quest’anno non si è iscritto al nostro campionato under 17, lasciandoci tutte libere. L’iniziativa della Bellaria di allestire una squadra della nostra età ci ha consentito di continuare a giocare a calcio in una squadra vicina a casa”. Di fronte alla presentazione di questo “allenamento alternativo” di educazione civica proposto dalla Figc e sposato dai dirigenti della squadra, le ragazze appaiono ovviamente sorprese. Mentre Lorenzo presenta loro la realtà della comunità per minori, loro sgranano gli occhi e non si perdono una parola. “Sono ragazzi e ragazze più o meno della vostra età, molto più simili a voi di quanto non immaginiate. Sono ragazzi che vanno a scuola come voi, che cercano di trovare il loro posto nel mondo, con le loro passioni e le loro paure tipiche dell’adolescenza. La particolarità sta nelle ferite che questi nostri ragazzi e ragazze portano nel cuore, ferite figlie di una cura da parte dei genitori che gli è mancata e che ha causato l’allontanamento da casa disposto dal tribunale dei minorenni. La vostra presenza nella nostra comunità ogni martedì pomeriggio ci riempie di gioia perché noi ci teniamo a non essere visti come un luogo chiuso e inaccessibile, ma al contrario ad avere le porte aperte alle associazioni di Pontedera: voi potete essere importanti per i nostri ragazzi, facendo il tifo per loro, diventando loro amici e aiutandoli a disinfettare certe loro ferite interiori; ma anche noi della comunità vogliamo fare il tifo per la Bellaria femminile, e verremo al campo a vedervi quando il campionato comincerà”.

Le ragazze della Bellaria e i loro dirigenti chiedono subito se fra le bimbe della comunità ce n’è per caso qualcuna a cui piace giocare a calcio. “E’ una domanda interessata, eh, chiariamo subito. Siamo ancora in cerca di un portiere…”. Chissà che da questo gemellaggio la Bellaria femminile non abbia da guadagnarci anche in sede di “calciomercato”. Intanto Piero (il presidente onorario e fondatore della Bellaria) fa capolino dietro le quinte della presentazione, scatta foto di gruppo per il calendario 2025 della società sportiva posando come una star in mezzo a giovani che vanno e vengono, e se la ride soddisfatto: “Hai visto Tommaso che bel casino che c’abbiamo qui dentro?” La sua favola colorata di verde e di blu nata nel 1972, e su cui lui ha lasciato un pezzetto di cuore ad ogni pagina, ora con le sue bimbe della under 17 e insieme alla comunità per minori di Pontedera si arricchisce di un nuovo capitolo fatto di sport e di solidarietà di cui andare orgogliosi.