Intervista a Stefano Giarratana – Paperino San Giorgio

Mi chiamo Stefano e sono l’esterno offensivo della squadra Juniores del Paperino San Giorgio. Ho cominciato a giocare a calcio da bambino, girando diverse squadre di Prato. Nella vita è bello avere qualche punto fermo che continua ad accompagnarti nelle diverse età mentre tutte le altre componenti cambiano insieme a te che cresci. Il calcio è stato e continua a essere il mio punto fermo. In ogni età la mia passione per il pallone non è mai svanita, anche se ha cambiato continuamente pelle: da bambino la mia gioia erano le partitelle cinque contro cinque con zero tattica e valanghe di gol. Da più grandicello ho cominciato ad apprezzare il gesto tecnico: ricordo una tripletta che misi a segno quando facevo le medie in una partita 9 contro 9 in un torneo a Sesto Fiorentino contro il Forte dei Marmi. Essendo un attaccante conosco abbastanza bene l’emozione del gol. C’è chi raggiunge il massimo dell’emozione al momento dell’esultanza e dell’abbraccio dei compagni, subito dopo aver segnato. Io invece raggiungo l’apice della felicità nel momento stesso in cui vedo la rete gonfiarsi. Al momento del tiro mi sento solo: io, la palla, la porta, il portiere avversario. Sono frazioni di secondo, ma in quegli attimi e durante quel gesto faccio in tempo a percepire il silenzio perfetto intorno a me, e la concentrazione è indescrivibile. E poi arriviamo agli anni più recenti dell’adolescenza. Le prime partite a 11 nel Coiano, e la mia passione per il calcio che si arricchisce mettendo dentro il bello della tattica e dell’organizzazione di squadra. Del mio repertorio di ala il fondamentale che mi riesce meglio è il cambio di gioco: vi sembrerò un matto, ma io tocco il cielo con un dito ogni volta che la palla attraversa il campo e plana sui piedi del mio compagno dalla parte opposta. O perlomeno, vicino ai suoi piedi. La cosa invece che mi rattrista di più quando gioco è la frase del mister “Stefano, gioca semplice!”. Io che vivo sognando un dribbling, quando mi sento dire “gioca semplice” penso alla morte della creatività e del divertimento. Si vede che se gli allenatori me lo dicono così spesso vuol dire che tanta fiducia non gliela ispiro, mi sa… Scherzo!
Sono arrivato al Paperino da quest’anno, seguendo il consiglio di un paio di amici. L’ho sempre conosciuta da avversario come una squadra seria, ben organizzata, una realtà di livello nel panorama calcistico pratese. In questo campionato siamo partiti male un po’ perché siamo una squadra molto rinnovata, e un po’ perché nelle prime due partite abbiamo incontrato due squadroni. Però il nostro è un bel gruppo. E poi a me non dispiace nemmeno il campo della parrocchia di Castelnuovo dove la nostra squadra è costretta a giocare e ad allenarsi in attesa della costruzione del campo nuovo del Paperino. Mi piacciono i campi di calcio in aperta campagna. E poi ci si allenano e ci giocano solo due squadre, noi e la prima squadra. Insomma, io al nostro campo di scorta mi ci sono già affezionato, e spero di segnarci presto il mio primo gol con la maglia del Paperino.
Sono contento di vestire la maglia giallo-azzurra anche perché la nostra società non ha eguali a Prato nell’organizzare progetti belli per le sue squadre anche fuori dal campo di gioco. Oggi per esempio io e due miei compagni di squadra siamo andati alla parrocchia di Gesù Divin Lavoratore per il primo pomeriggio del progetto della Figc “Non solo piedi buoni” nel quale il Paperino rappresenta la provincia di Prato. Abbiamo messo su dal nulla un doposcuola per i bimbi del quartiere di via Pistoiese, la zona della nostra città con maggiore concentrazione di abitanti di origine cinese. Siamo andati ai cancelli della scuola del quartiere a prendere i bimbi che si erano iscritti alla nostra scuola calcio in parrocchia. Altri bambini li abbiamo trovati direttamente al campetto di calcio della chiesa che ci aspettavano. All’inizio mi sentivo un po’ titubante perché non sapevo se i bimbi e noi ci saremmo divertiti. Non ci conoscevamo per niente, c’era un po’ d’imbarazzo, e poi finora non avevo mai fatto un’attività di intrattenimento per i bimbi.

E’ stato bello vedere che il ghiaccio si è rotto quasi subito e che i 7 bimbi di tante provenienze venuti a giocare con noi siano stati bene. Un paio di mamme cinesi sono venute con i loro figli a vederci all’opera e a vedere gli spazi della parrocchia, e ci hanno promesso che la prossima settimana ci affideranno i loro bimbi. Insomma pare che gli abbiamo fatto una buona impressione! I bimbi alla fine dell’incontro erano contenti, e io lo ero in modo particolare, anche perché nell’ultimo quarto d’ora del doposcuola abbiamo letto la mia storia che avevo preparato apposta per i bambini. Ho raccontato ai bimbi della mia infanzia trascorsa nella loro stessa scuola (la Borgonuovo) e gli ho parlato dei miei giochi preferiti, di alcune maestre che anche loro conoscevano, e di alcuni episodi buffi per farli sorridere. Questa scusa di preparare una storia da leggere insieme prima di salutarci è stata l’occasione di un bel tuffo nel mio passato, e mentre leggevamo tutti in cerchio questi miei aneddoti mi sono emozionato. Speriamo di continuare con lo stesso entusiasmo, in questo doposcuola gratuito del lunedì pomeriggio. E’ bello mettere come squadra un piccolo tassellino per il benessere di questi bimbi dalle tante origini diverse (asiatiche, africane, europee). Sono loro la Prato di domani. E noi siamo qui per dimostrargli che il domani di Prato ci sta a cuore.

Intervista a Diego Sannino – G.S. San Miniato A.S.D.

Mi chiamo Diego e sono un difensore centrale della squadra Juniores del San Miniato di Siena. Sono nato a Siena ma poi dagli anni delle elementari fino all’inizio delle superiori ho vissuto con la mia famiglia a Ercolano, in provincia di Napoli, essendo mio padre originario di quella terra. L’infanzia in Campania mi ha regalato tante cose, a cominciare dal tifo per il Napoli e dalla passione per il calcio giocato dappertutto. Nei campi sportivi, certo, ma anche per strada. Mi ricordo partite interminabili nella viuzza sotto casa nostra, con i miei 8 cugini che abitavano tutti nelle case vicine alla mia: a Ercolano le famiglie erano allargate; a vedermi giocare al campetto non venivano solo babbo e mamma, ma anche zii, cugini e parenti alla lontana. Una volta all’età di 9 anni feci un gol da centrocampo in una partita di calcio a 7 e il mister e tutta la mia famiglia mi portarono in trionfo. Mi ricordo che quando giocavamo in strada e passava una macchina noi ci fermavamo tipo cooling break, dopodiché ricominciava la partita. Il gioco libero che qui a Siena praticamente è sparito, nel paese di mio padre esiste ancora ed è una cosa bella. Sì, giocando a pallone sull’asfalto ci si sbucciava le ginocchia di continuo però si imparava a giocare nello stretto, a pensare velocemente, a dribblare e (nel mio caso) a marcare “sentendo” l’avversario. E soprattutto ci divertivamo un sacco, passando molto meno tempo sui tablet e sugli smartphone. A Ercolano, ovviamente, ho giocato anche tante partite ufficiali nella squadra giovanile del paese, chiamata Ercolanese, disputando anche campionati di livello regionale. Poi io, mia madre, le mie due sorelle e mio fratello ci siamo trasferiti nuovamente a Siena, la città di mia mamma. E così nelle ultime due stagioni, su suggerimento di un amico, mi sono tesserato per il San Miniato. Qui in Toscana rispetto al calcio giovanile campano c’è molta più organizzazione: il pullmino che ci porta in trasferta, l’attrezzatura, gli allenatori mediamente più preparati, la tattica spiegata nei minimi dettagli… Tutte cose belle che a Ercolano me le sognavo. A Napoli in compenso c’era molto più agonismo in campo, e anche più tecnica individuale figlia delle tante partitelle in strada di cui parlavo prima. Quest’anno, il mio primo campionato con la Juniores, è cominciato non benissimo sotto il profilo dei risultati, con una vittoria e tre sconfitte, però è cominciato bene dal punto di vista dell’unione del gruppo. Ci aiutiamo molto fra di noi in campo e ci divertiamo anche fuori dal campo, soprattutto nelle cene in contrada, che i miei compagni di squadra senesi doc mi stanno facendo conoscere introducendomi in questo clima da osteria toscana (legato al palio) molto popolare e molto accogliente, capace di rendere questa città così magica.
Questo è un anno speciale per noi Juniores del San Miniato anche perché proprio oggi abbiamo cominciato il gemellaggio del progetto Figc “Non Solo Piedi Buoni”: la nostra squadra è stata abbinata a una squadra di calcio speciale di Siena, chiamata Le Bollicine composta da ragazzi disabili cognitivi. Questi ragazzi si allenano ogni venerdì pomeriggio sul campo di Rosia, a 10 km dalla città e noi del San Miniato ci uniamo a loro in alcuni di questi allenamenti delle Bollicine, raggiungendoli a Rosia e giocando con loro. Io e due miei compagni di squadra abbiamo fatto oggi una delle partitelle più divertenti dell’anno. Questi ragazzi hanno il grande dono della spontaneità: non hanno filtri, ti prendono in giro e scherzano con te anche se ci siamo conosciuti solo 5 minuti fa; è stato bello fare un po’ di assist per mandare in gol qualcuno di loro, e vedere la loro felicità che era anche la nostra. Io so bene quanto sia importante non lasciare soli questi ragazzi disabili e soprattutto non lasciare soli i loro familiari. Lo so bene perché mio fratello più piccolo convive dalla nascita con una disabilità gravissima, che non lo rende capace né di camminare, né di parlare né di vedere. So bene l’impegno eroico che i genitori di questi ragazzi ci mettono per aiutare i loro figli speciali ad avere una vita dignitosa. Lo so bene perché ho visto e continuo a vedere l’impegno e l’amore immenso di mia mamma per mio fratello. Il rischio, come dicevo, è quello di rimanere soli, e anche di isolarci da soli, noi famiglie con all’interno una persona disabile. Mi ricordo che fino a pochi anni fa ero in forte imbarazzo quando venivano a casa mia dei miei amici e mio fratellino era in casa. Avevo paura di mettere i miei amici a disagio. In realtà con il tempo ho capito che invitando i miei amici a tavola con me e con mio fratello faccio una cosa bella anche per i miei amici, insegnandogli nel mio piccolo a non avere paura delle diversità, a prendersene cura. Per questo motivo e per questa mia storia familiare ho deciso di partecipare per primo al gemellaggio fra la mia squadra e i ragazzi delle Bollicine. Il nostro è un piccolo segno, ma con un grande significato. Ogni volta che scenderemo in campo a Rosia con questi ragazzi e giocheremo con loro divertendoci insieme senza barriere, i genitori e i familiari di questi ragazzi si sentiranno un po’ meno soli. E magari inizieranno a fare il tifo per il San Miniato, come noi lo faremo per Le Bollicine.

Intervista a Alessio Pellegrini – USD Folgore Segromigno Piano

Mi chiamo Alessio e sono il centravanti della squadra Allievi under 17 della Folgore Segromigno Piano. Abito a poche centinaia di metri dal campo sportivo, in questo paesino frazione di Capannori che in pochi conoscono, a parte gli esperti della geografia di Lucca e dintorni. Per me il campo di calcio della mia squadra è un po’ come il cortile di casa: un posto dove si incontrano tante storie, tanti calciatori di diverse età, e dove il paese di Segromigno si sente un po’ come una grande famiglia. A me per esempio il sabato e la domenica piace andare a vedere le partite anche delle altre squadre del Segromigno, di età diverse dalla mia, quando gli orari delle partite della mia squadra non sono gli stessi. Mi sento tifoso del Segromigno quasi quanto sono tifoso della Fiorentina: oggi lo posso dire, anche se a pensarci bene non è sempre stato così. Infatti fino all’età di 10 anni io non giocavo a calcio. Ho iniziato tardi, dopo aver provato altri sport come basket e nuoto. A convincermi a venire al Segromigno fu Alfredo, lo storico presidente e fondatore della società di calcio del nostro paese: un presidente speciale, una persona con il cuore grande, che stava al campo dalla mattina alla sera; il nonno di tutti noi, oltreché mio vicino di casa, uno che stava alla scrivania della sede ma tracciava anche le righe del campo con la carriola prima delle partite. Cinque anni fa Alfredo è morto, ma io tuttora devo ringraziarlo per avermi aperto la porta di questa mia squadra del cuore a chilometro zero.

Da lì in poi, dalla fine delle elementari ad oggi, ho sempre giocato nel Segromigno, a parte una parentesi non felice nel Marlia che mi ha fatto capire una volta di più che la mia casa era la squadra del mio paese. Ho quasi sempre fatto l’attaccante centrale, grazie al fisico massiccio che mi ritrovo. Le mie qualità sono la bravura nel proteggere il pallone, nel fare le sponde per i compagni e ultimamente anche (particolare non da poco) nel buttarla dentro. All’inizio di questa stagione mi sono sbloccato. Un gol di rapina nella seconda amichevole estiva, pochi mesi fa, con un tocco di furbizia nell’area piccola, mi ha dato sicurezza e mi ha spinto a provare a cercare la porta con più decisione. E così anche in campionato ho fatto gol in due delle tre partite giocate finora. Siamo una squadra del campionato provinciale, fra di noi non ci sono fenomeni: però ce la caviamo bene, siamo un bel gruppo fatto di ragazzi che cercano di aiutarsi sempre, in campo e fuori. A proposito della forza del nostro gruppo, sono proprio contento che la Figc abbia scelto noi Allievi del Segromigno per rappresentare la provincia di Lucca nel progetto “Non solo piedi buoni”. Il gemellaggio con il centro di accoglienza per immigrati richiedenti asilo di Capannori che ci è stato proposto è una bella possibilità per diventare ancora più uniti, come squadra, condividendo fra noi calciatori e con il mister un’esperienza tosta di servizio per il nostro territorio. Oggi c’era il primo incontro, in uno degli appartamenti dove i ragazzi richiedenti asilo abitano, e a dare il calcio d’inizio di questo progetto c’ero io, insieme al mio compagno di squadra Leonardo. I ragazzi e gli educatori del centro di accoglienza, Valentina e Leonardo, ci hanno accolto con una super merenda e con un gioco utile per rompere il ghiaccio e per presentarci. I sei ragazzi che abitano nel centro di accoglienza si sono presentati facendoci vedere sulla cartina geografica i paesi dell’Africa dai quali provengono: Benin, Guinea, Costa d’Avorio… Abbiamo anche parlato di calcio, ovviamente, che è una passione che accomuna tanti di noi. Mi ha colpito l’età così giovane di questi ragazzi, tutti minorenni, praticamente della nostra stessa età. Mi ha colpito sapere che pur essendo così giovani si trovano già a vivere molto lontano dai loro genitori e dalle loro famiglie. Abbiamo anche accennato al viaggio che questi ragazzi hanno fatto per arrivare fino a Capannori: io a grandi linee sapevo che si tratta di viaggi pericolosissimi e illegali, passando attraverso il deserto del Sahara, la Libia e infine viaggiando in mare su barche di fortuna; i ragazzi ci hanno fatto capire che questo viaggio lascia delle ferite invisibili a livello psicologico, per tutto il dolore che ognuno di loro ha visto durante i mesi di tragitto; persone morte e abbandonate dai trafficanti, persone rapite, arrestate, minacciate, picchiate… Quello che però non immaginavo assolutamente era il motivo per il quale questi ragazzi si sono affidati ai trafficanti di persone per arrivare in Italia, anziché salire su un aereo. Io credevo che fosse un problema economico, cioè che l’aereo costasse troppo per loro. Invece ho saputo che l’aereo costa molto di meno rispetto alle migliaia di euro che ognuno di questi ragazzi ha dovuto pagare ai trafficanti. Ma salire su un aereo se sei africano e non sei ricco è impossibile per le leggi che ci sono attualmente. Così per questi ragazzi viaggiare illegalmente era l’unica possibilità per scappare dai loro paesi di origine e cercare un futuro migliore.

Mi ha fatto piacere sapere che gli educatori stanno aiutando questi ragazzi appena arrivati in Italia: ognuno di loro frequenta una scuola professionale, ognuno di loro ha un progetto di vita, un lavoro che spera di poter fare qui in zona. Alla fine di questo primo incontro io e Leonardo ci siamo scambiati i contatti Instagram con questi ragazzi. Noi del Segromigno proveremo a fare la nostra parte per aiutare Diallo, Mamadou, Mario e gli altri a sentirsi a casa nella nostra Capannori. Abbiamo tanto da imparare gli uni dagli altri. Speriamo di diventare amici, e di ricordarci (fra tanti anni) quella sera in cui ci trovammo per la prima volta al centro di accoglienza e le nostre strade si incontrarono…

Intervista a Klajdi Lakaj – Capostrada Belvedere

Mi chiamo Klajdi, sono un attaccante della squadra Juniores del Capostrada e il primo ricordo calcistico che ho sono gli highlights di Cristiano Ronaldo. Come per tanti altri ragazzi della mia età in giro per il mondo, CR7 è stato l’eroe d’infanzia, quasi come un personaggio dei cartoni animati. Oltre all’aspetto tecnico in sé, di Cristiano mi piacevano lo stile, le movenze, e la sua biografia piena di segni del destino, come il tentato aborto della mamma all’epoca poverissima che per fortuna non riuscì.

La passione per il calcio è nata anche grazie a mio padre, tifosissimo del Milan: babbo era fissato col calcio italiano già da quando abitava in Albania, negli anni 80; allora nel mio paese d’origine c’era il regime, e i miei parenti mi hanno raccontato che riuscivano a sintonizzarsi sui canali italiani per vedere le partite orientando l’antenna in un certo modo, anche se era illegale. Io stesso ho vissuto due anni della mia infanzia in Albania, all’inizio delle elementari, seguendo i genitori dopo essere nato a Pistoia. Poi siamo tornati tutti insieme definitivamente a Pistoia, ed è a quel punto che ho deciso di iscrivermi a una squadra di calcio. Scelsi il Capostrada, e non me ne sono più andato. Otto stagioni consecutive, alcune delle quali difficili dal punto di vista personale, perché tre anni fa il livello della squadra era salito e pure di parecchio. Cominciammo a partecipare ai campionati regionali che facciamo tuttora, arrivarono ragazzi molto bravi e io finii in panchina. In quei due anni giocai molto poco e pensai anche a cambiare squadra. Devo ringraziare con il senno di poi il mister di allora, mister Borri, che per me è stato quasi un secondo padre, e non è una frase fatta. Il mister mi teneva in panchina ma non faceva finta di niente. Mi rimproverava durante gli allenamenti: rimproveri fatti con il cuore, rimproveri con tanti consigli dentro; io me ne accorsi che il mister mi rimproverava perché voleva il mio bene, non perché voleva fare il gradasso. Forse mi voleva sfidare in senso buono. Fatto sta che ci riuscì, a tirare fuori il meglio di me. In quei due anni misi pian piano da parte la mia timidezza, imparai a metterci più grinta e meno paura di sbagliare, sia in campo che fuori. E i risultati sono arrivati.

Oggi sono io, o almeno dovrei esserlo, il bomber della squadra Juniores, e ho anche la responsabilità di portare la fascia da capitano al braccio. Non sono una prima punta fisica: a dire la verità vivo quasi più per il dribbling che per il gol. Però di gol da raccontare fatti in questi ultimi anni ne ho tanti: scelgo una rete fatta in una partita che sapeva un po’ di leggenda, l’anno scorso in casa contro il Meridien. Il campo era ai limiti della praticabilità, fango incredibile, e al momento del fischio d’inizio continuava a piovere. Eppure gli spalti erano pieni di gente venuta a vederci. A un certo punto ci furono un cross e una conclusione di un compagno che andò a sbattere contro il palo: io fui il primo sulla ribattuta e colpii d’istinto di prima intenzione, con il sinistro che fra l’altro non è nemmeno il mio piede forte: ma andò bene, la palla entrò. Un gol speciale in uno scenario epico. Menomale che l’arbitro non la rinviò per maltempo.
In questa stagione iniziata da poco, è iniziata per noi della Juniores del Capostrada anche il progetto “Non Solo Piedi Buoni”. Il gemellaggio che la Figc ha pensato per la nostra squadra è con il carcere di Pistoia: aspettiamo ancora l’ultimo via libera dalla direzione della casa circondariale, e poi tutti i mercoledì pomeriggio ci alterneremo in delle calcettate speciali in carcere, con successive chiacchierate e racconti di storie di vita nostri e dei detenuti che saranno insieme a noi in questo progetto. Io e un mio compagno di squadra abbiamo già fatto un po’ di riscaldamento, se così si può dire: Riccardo, l’esperto volontario in carcere che ci sta facendo da guida in questo percorso lungo un’intera stagione, ci ha accompagnato in un laboratorio meccanico a due passi dalla stazione di Pistoia dove alcuni ragazzi minorenni inviati dal tribunale dei minori o dalle assistenti sociali fanno un corso gratuito di saldatura. Dentro questo laboratorio abbiamo conosciuto i giovani allievi di questo corso, insieme al loro tutor e al loro maestro. I ragazzi e il maestro Enrico, che si ritrovano lì per il corso tutti i pomeriggi dei giorni feriali da settembre a gennaio, ci hanno mostrato alcune delle realizzazioni in ferro fatte dagli allievi: una scala, una rastrelliera per biciclette, un tavolino per bambini piccoli. Non mi aspettavo che un luogo così, nascosto nel centro di Pistoia, fosse un luogo dove ragazzi minorenni scontano una pena. Riccardo, il tutor Luis e gli stessi allievi ci hanno spiegato con semplicità e chiarezza il meccanismo della cosiddetta messa alla prova, che porta alcuni minorenni (condannati per reati spesso connessi allo spaccio di droga o a piccoli furti) a passare i loro pomeriggi a darsi da fare per imparare un mestiere, con il rischio del carcere minorile vero e proprio in caso di scarso impegno in questa missione che il giudice ha affidato a loro. Abbiamo invitato i ragazzi del corso di saldatura a una nostra partita in casa: uno di loro fra l’altro conosceva già bene il Capostrada. In questo pomeriggio abbiamo imparato la bellezza di associazioni e di persone che nella nostra città lavorano ogni giorno per cambiare il film della vita di adolescenti incasinati, tante volte vittime di contesti familiari difficilissimi. “Prima ancora che insegnargli a saldare, io a questi ragazzi ogni giorno faccio di tutto per volergli bene”, ci ha detto il vecchio maestro Enrico. Speriamo di metterci lo stesso cuore e la stessa fiducia senza pregiudizi, quando fra due settimane inizieremo a fare amicizia con i detenuti in carcere.

Intervista a Tommaso Muracchioli – USD Don Bosco Fossone

Mi chiamo Tommaso e gioco mezzala nell’under 17 del Don Bosco Fossone. Il primo ricordo che ho con il pallone fra i piedi è all’età di 3 anni. Mio nonno mi portava nella strada sotto l’orto di casa sua, in un paesino dell’interno sopra Carrara, e mi faceva giocare a calcio con alcuni bambini che abitavano nelle case vicine. Non era un campo vero: giocavamo sul cemento e i pali delle porte erano dei sacchetti o dei mattoni che i nonni ci aiutavano a sistemare. Giocare a calcio in strada è una passione che ho continuato a praticare anche negli anni successivi, ai tempi delle elementari, quando avevo già iniziato a giocare le partite ufficiali nei Pulcini del Don Bosco Fossone. Però il gioco libero è troppo bello, soprattutto da bambini! I genitori o i nonni ci guardavano sì, ma da lontano, ai giardinetti dove si improvvisavano delle super-partite mollando gli zaini per terra non appena uscivamo da scuola. Nel gioco libero non ci sono schemi e non c’è paura di sbagliare. E’ lì che si imparano i fondamentali del calcio. Per questo è un peccato che oggi il gioco libero si pratichi così poco. Io sono stato fortunato, ad aver avuto la possibilità di giocare per strada, in piazza, nei parchi o sulla spiaggia per così tanto tempo, da bambino. E poi sono stato fortunato a trovare una società di calcio nella mia città come il Don Bosco Fossone: qui da noi un pochino lo spirito del gioco libero esiste ancora, anche da grandi. Certo, vogliamo vincere, c’è la tattica, bisogna stare concentrati. Però quando si sbaglia o si perde nessuno ti fa il processo. Siamo liberi di sbagliare e non rischiamo mai di perdere la gioia del gioco.

Di questa aria speciale che si respira a Fossone me ne sono reso conto quando due anni fa mi venne voglia (così, per sfizio) di cambiare squadra. Tempo pochi mesi e subito sentii la nostalgia di “casa”: mi mancava il gruppo squadra, ma mi mancavano soprattutto il divertimento e la leggerezza; con tanta cura ma senza nessuna paura e senza prendersi troppo sul serio. Così ho di nuovo cambiato idea e sono tornato nella mia squadra del cuore. L’allenatore dello scorso anno, appena sono tornato qui a Fossone, mi ha cambiato ruolo: da terzino a mezzala. Il mister si era accorto che negli uno contro uno ero troppo lento. Invece nel controllo di palla, nel passaggio filtrante e nei cambi di gioco me la cavo bene, e anche negli inserimenti a chiudere le azioni arrivando in area da dietro, sfruttando il buon tiro che mi ritrovo. Così è da più di un anno ormai che mi diverto tantissimo, nel ruolo che sento davvero mio, e con la possibilità di fare gol e di vivere l’emozione più bella che c’è nel nostro gioco preferito. In questa stagione la nostra squadra è iscritta al campionato provinciale di Massa-Carrara della categoria under 17, con l’obiettivo di provare a vincerlo. Inoltre sempre in questa stagione la nostra squadra è stata scelta per partecipare al progetto Non Solo Piedi Buoni, che ha creato un gemellaggio fra noi del Fossone Allievi e i nonni del circolo pensionati di Marina di Carrara. Il giorno in cui, insieme ai miei compagni Tommaso e Nicholas, sono andato al primo appuntamento di questo incontro speciale fra carrarini di generazioni opposte, ero un pochino preoccupato. Sono timido di carattere, vedevo queste persone anziane giocare a carte con tanto accanimento, e ho pensato: “E ora come facciamo a fare amicizia?”. Ci siamo fatti forza e abbiamo chiesto a questi nonni, diversi dei quali non sapevano del nostro progetto, se volevano farci entrare in una briscola a 4, e da lì è stato bellissimo: ci siamo mescolati su tavoli diversi e abbiamo riso tutti insieme. Poi sono arrivati altri nonni, del gruppo di poesia del circolo, che invece sapevano del nostro arrivo e ci hanno accolto nella loro sala. Il protagonista è stato Antonio, un professore di inglese in pensione che ci ha raccontato la sua infanzia a Marina di Carrara, facendoci vedere i giochi che si facevano prima dell’era dei videogames. Fionde, biglie, figurine, ma anche fughe di nascosto dentro cantieri abbandonati, e anche tante giornate d’estate trascorse ad aiutare il babbo barbiere nella sua bottega e a lavorare (sempre da ragazzino) in uno stabilimento balneare in estate. Mi ha colpito tanto l’inventiva e la creatività che Antonio e gli altri nonni avevano nell’escogitare tutti questi giochi con tanto di frasi in dialetto e regole personalizzate. E infine don Tommaso (il diacono della Figc che ha inventato questo progetto) e Antonio ci hanno invitato a salire sulla Panda prestataci per l’occasione dal nostro presidente del Fossone, Giorgio, per spostarci nel cuore di Marina di Carrara e farci insegnare da Antonio tutti i particolari e i luoghi della storia della sua infanzia che ci aveva appena raccontato: la fontanella dove la mamma andava a prendere l’acqua che in casa non avevano esiste ancora, nella via principale del centro abitato che si chiama Ruga Maggiani. Con un po’ di immaginazione io e i miei due compagni di squadra ci siamo immaginati la nostra città senza automobili, senza supermercati, con tanti negozi e con tanti bambini a giocare in strada. Io sono contento di vivere nel tempo di oggi, con tutte le tecnologie e le possibilità di conoscere e di muoverci a nostra disposizione che prima non c’erano, però un po’ di quello spirito di avventura che ci ha trasmesso Antonio nei suoi ricordi da bambino vorrei che si potesse recuperare: con le ginocchia più sbucciate, con qualche piccolo pericolo in più da correre fuori casa, ma anche con tanta voglia di vivere e di sentirsi a casa nella nostra Carrara.

Intervista a Lucio Severini – Nuova Grosseto Barbanella

Mi chiamo Lucio e sono il terzino sinistro della squadra Juniores della Nuova Grosseto Barbanella. Sono contento di abitare, studiare e giocare a calcio a Grosseto. La nostra è una città che almeno secondo me è la giusta via di mezzo fra paese troppo piccolo e metropoli troppo caotica. Abbiamo il mare che d’estate ci fa sentire aria di vacanza anche quando restiamo a due passi da casa ed in più abbiamo tanti servizi, tanti ritrovi, tante scuole (la mia è l’istituto agrario con indirizzo enologia) e soprattutto diverse squadre di calcio. Io ne ho girate tre, di squadre di pallone di Grosseto, e a ognuna di queste devo dire grazie per un motivo o per un altro.

Nella prima, la Giovani Calciatori, ho vissuto l’emozione dell’inizio, con le prime partitelle della scuola calcio. Nella seconda, l’Invicta Sauro, ho avuto la fortuna di incontrare uno degli allenatori che mi hanno insegnato di più, mister Pratesi: un tecnico molto giovane che durante l’anno si ritagliava tanti momenti per chiacchierare a tu per tu con noi ragazzi. Chiacchierate importanti, almeno per me, che parlando con l’allenatore ho imparato a conoscermi meglio, a maturare caratterialmente e umanamente. Ce ne vorrebbero tanti, di mister così: che “perdono” tempo coi ragazzi fermandosi a parlare con loro non solo di calcio, ma anche della vita. E poi c’è la squadra più importante, la Nuova Grosseto, dove ho giocato la maggior parte delle mie partite e dove sono tuttora: negli ultimi anni ho cambiato diversi ruoli e ora tutti mi descrivono come un cursore di fascia molto versatile, che se la cava sia a difendere che ad attaccare, e che si adatta a giocare anche sulla fascia sinistra pur essendo il mio piede preferito il destro.

Alla Nuova Grosseto ho vissuto l’emozione bellissima, lo scorso anno, di un campionato vinto al termine di uno scontro diretto all’ultima giornata. E quest’anno un’altra emozione grande: la mia prima stagione con la fascia da capitano al braccio! In questa annata speciale da neopromossi in un campionato regionale, fra l’altro, abbiamo appena vissuto l’emozione della prima vittoria: un 3-0 da stropicciarsi gli occhi in casa contro il Castiglioncello; e proprio oggi è arrivata un’altra emozione, con l’inizio del gemellaggio di “Non Solo Piedi Buoni” fra la nostra squadra e l’associazione La Farfalla, che qui a Grosseto si occupa di stare vicino a persone malate di tumore o affette da altre patologie gravi.

Prima di venire qui non sapevo bene cosa aspettarmi. Ero curioso ma anche completamente all’oscuro di tutto, come quando vai all’interrogazione senza avere studiato. Insieme a due miei compagni di squadra ho passato due ore nella sede dell’associazione in compagnia di Loriana, che da brava presidentessa ci ha presentato a grandi linee le varie aree di intervento della Farfalla: gli infermieri e le psicologhe che ci lavorano, i tanti volontari come lei che danno una mano, i macchinari per la terapia Scramble a cui i pazienti si sottopongono per lenire il dolore della chemioterapia tramite impulsi elettrici in determinate parti del corpo. E poi è venuta a trovarci Lazara, una signora brasiliana che sta facendo chemioterapia da diversi mesi e che domani si sottoporrà a un delicato intervento chirurgico. “Sono qui in Italia da 40 anni, ho abitato prevalentemente a Roma e dintorni facendo la baby sitter, la colf e la badante”, ci ha raccontato Lazara: “Quando ho scoperto di avere il cancro, sei mesi fa, mi trovavo a lavorare nella seconda casa di una signora romana qui vicino a Grosseto, a Porto Ercole. Così recandomi all’ospedale più vicino e facendomi seguire dagli oncologi di questa città è venuto naturale fermarmi qui. Devo tutto all’associazione La Farfalla, che mi ha dato un mini-appartamento gratuito quando io altrimenti non avrei potuto prendere una casa in affitto, e che mi fa sentire in famiglia anche se la mia famiglia si trova in Brasile, dall’altra parte del mondo”. La storia di Lazara ci ha colpito per la sua serenità e la sua capacità di apprezzare la vita anche dentro una malattia grave che le ha fatto perdere i capelli e tante sicurezze riguardo il suo futuro. Abbiamo capito che questo progetto della Figc è una cosa molto seria e molto utile. Ascoltare le storie dei malati e di chi se ne prende cura ci prepara ad affrontare queste sfide quando ci ritroveremo a essere noi gli amici stretti o i familiari di una persona che soffre. Stare lontani da queste storie facendo finta che non esistano ti fa finire nel panico quando improvvisamente ti ritrovi in prima linea. Conoscere le persone che vengono qui alla Farfalla invece fa capire che anche durante la malattia una vita dignitosa può comunque esistere, e che questa dignità dipende da noi, se siamo bravi oppure no a non fare sentire solo chi la malattia si trova ad affrontarla.

Intervista a Niko Marchesini – ASD Orlando Calcio Livorno

Mi chiamo Niko e sono il terzino destro della squadra Allievi dell’Orlando calcio. La passione per questo sport me l’ha trasmessa mio nonno; fu lui infatti a portarmi per primo al campino di calcetto del Gabbro, un paese di poche centinaia di persone arrampicato su una collina subito dietro Livorno. Un paese dove si conoscono tutti, dove i bambini giocano a qualsiasi gioco insieme ai ragazzetti di età diverse perché altrimenti non si arriverebbe mai a fare numero. Un paese dove il ritrovo è per tutti un bar chiamato “il circolino”, e dove tutti da piccini hanno iniziato a giocare a pallone su un campino di cemento disastrato ma che rimarrà per sempre nei nostri cuori. Vedi queste striature sugli stinchi? Me le feci da bimbo un po’ di anni fa sbucciandomi proprio sul campino di cemento del Gabbro e i segni mi sono rimasti ancora oggi. Troppo bello!!

Oggi il campino è diverso dai nostri tempi. C’è il sintetico, il fondo è morbido, non ci si fa più male come prima. Io ovviamente continuo a giocarci e ci gioco volentieri, quando facciamo le partitelle in paese. E’ di sicuro un campino più bello, ma io non so bene perché (sarà la nostalgia) un po’ rimpiango il mio vecchio campino di cemento dove mi portava nonno a fare i primi passaggi quando avevo 4 anni. Il campino dove ho vissuto tutte le mie esperienze calcistiche fino agli anni delle medie, quando mi sono iscritto nell’Orlando ed ho conosciuto finalmente il calcio a 11. Fino alle elementari non sono riuscito a liberarmi dai consigli della mamma, che ha voluto a tutti i costi che facessi nuoto, e ancora oggi la ringrazio di questo, perché così al mare qui a Livorno con gli amici faccio bella figura ogni volta che ci tuffiamo in acqua. Però la mia passione vera era e resta il calcio. Perché fra le tante società sportive di Livorno ho scelto l’Orlando Calcio? Semplice: giocare nell’Orlando costa pochissimo, rispetto a tutte le altre squadre di Livorno, e questo i miei genitori lo sapevano bene al momento di iscrivermi. La convenienza ha fatto la differenza. E poi il campo dell’Orlando era comodo da raggiungere per i miei genitori quando mi accompagnavano partendo dal Gabbro: dopo il discesone attraversi Coteto e subito sei a Corea, al campo Pitto.

Già, il campo Pitto. Che campo, ragazzi. Terra, terra, soltanto terra, senza neanche un filo d’erba. E poi un campo esageratamente lungo. Soprattutto le prime volte mi faceva paura, mi sembrava interminabile. Ma ora che ci ho fatto l’abitudine non lo cambierei con nessun altro campo al mondo. Faccio il terzino destro in un 4-3-1-2: ho tanta resistenza fisica, quindi non ho problemi a fare su e giù per la fascia per tutti i 90 minuti. Eppure dovete sapere che fino a due anni fa giocavo in porta. Poi due anni fa ho cambiato allenatore e ho cambiato anche ruolo. Per me fu la felicità: finalmente potevo andare all’attacco e provare ogni tanto a fare gol. Il primo gol in partite ufficiali è quello che non si scorda mai: torneo a San Frediano, derby contro il Pro Livorno Sorgenti; loro facevano gli splendidi prima della partita, erano convinti di stravincere e noi all’epoca non avevamo una grande fama. Invece quella sera cominciammo a mille a facemmo gol subito. E poi, sempre nel primo tempo, ecco il mio momento di gloria: disimpegno sbagliato della difesa avversaria, la palla mi arriva in fascia, poco fuori dall’area di rigore. Penso che sì, posso provare una “micciata”: carico il destro pensando solo alla potenza; viene fuori un tiro non tanto angolato, ma che piega le mani al portiere e clamorosamente si insacca; 2-0. Esultanza alla rete con i miei genitori e con mio nonno (mio primo tifoso) venuto a vedermi fin là. Poi l’abbraccio con i compagni, e l’Orlando che a fine partita vince 2-1. Libidine.
Quest’anno siamo una buona squadra, molto più organizzata che nei miei primi anni all’Orlando. Mister Valerio dice che ce la giocheremo a metà classifica, ma intanto alla prima di campionato abbiamo vinto con il Vada e ora non ci vogliamo certo fermare. Questo è un anno speciale anche per il gemellaggio appena iniziato con la casa famiglia Papa Francesco di Quercianella dove oggi ho passato tutto il pomeriggio con due miei compagni di squadra. Da un paio di settimane noi degli Allievi dell’Orlando, su invito della Figc, abbiamo iniziato a mescolarci con gli undici bimbi della casa famiglia e con le educatrici e volontarie che si prendono cura di loro ogni giorno. Oggi ho aiutato un bimbo di terza elementare a fare un esercizio sulle tabelline, e poi abbiamo disegnato e colorato tutti insieme gli addobbi da usare in una festa di compleanno dei prossimi giorni qui in casa famiglia, poi ovviamente è spuntato fuori un pallone in giardino e abbiamo visto all’opera un bimbo bravissimo che vedrei bene nei Pulcini dell’Orlando. Mi ha colpito vedere che a parte noi giovani calciatori, le educatrici e le volontarie che si prendono cura dei bimbi sono tutte donne. Chissà perché nei lavori con i bambini gli uomini si danno quasi sempre alla macchia. A me invece piace un sacco stare con i bimbi. Ho il pregio di riuscire a far ridere tutti. Non a caso al circolino del Gabbro mi chiamano “il clown”. E’ bello vedere questi bimbi sorridenti e felici sapendo che arrivano da situazioni familiari difficilissime e che vivono lontani dai loro genitori a causa del provvedimento di un giudice. E’ bello nel nostro piccolo contribuire all’armonia di questa casa speciale che ha il mare subito dietro le finestre e che aiuta i bimbi a rinascere. Non vedo l’ora che suor Raffaella e tutta la truppa della casa Papa Francesco vengano a fare il tifo per noi un sabato al campo Pitto. Quel giorno giocheremo anche per loro, e sarà un’emozione nell’emozione. E se segnassi di nuovo io, proprio quel giorno lì? L’esultanza per i bimbi e per noi sarebbe di livello altissimo, da vero livornese.

Intervista a Ennio Arcangeli – US Sales

Mi chiamo Ennio e sono un attaccante della squadra Allievi under 17 della Sales. Sono arrivato alla Sales solo pochi mesi fa. Come tanti ragazzi di Firenze, di squadre ne ho girate diverse tra l’infanzia e l’adolescenza, sfruttando il fatto che in una grande città c’è l’imbarazzo della scelta: in ogni quartiere una squadra, o anche più di una. Mi piacciono le nuove sfide e sono curioso di scoprire sempre nuovi campi di allenamento, nuovi allenatori e nuovi compagni di squadra. Dopo tutto il mio girovagare ormai su ogni campo e in ogni partita, incrocio fra gli avversari qualche ragazzo che in passato ha giocato con me: Dopolavoro Ferroviario, Gavinana, Firenze Sud… e in un anno addirittura ho cambiato non la squadra ma lo sport, passando dal calcio al pugilato. Il ring mi affascinava, ma poi mi sono reso conto che non ero fatto per fare a cazzotti e che la mia vera passione era il pallone. E così quest’anno eccomi alla Sales, e chissà che non sia la volta buona per fermarmi. L’avvio di campionato è stato difficilissimo, tre sconfitte di goleada nelle prime tre partite. E poi la bruttissima notizia della malattia del nostro portiere Martino, che io prima di arrivare nella Sales non conoscevo ma con cui ho impiegato pochissimo tempo per farci amicizia. Speriamo come squadra di riuscire a stargli vicino e a regalargli un po’ di buonumore. Io, a proposito, sono uno che riesce a scherzare e a sdrammatizzare anche nei momenti più difficili: è quello il mio ruolo, nello spogliatoio. Sono quello che te la fa prendere bene e ti strappa un sorriso anche quando gli altri hanno i musi lunghi. Anche perché prima o poi arriveranno le avversarie alla nostra portata, e prima o poi torneremo a giocare nel nostro campo di casa di via Gioberti che fino a ora non ho mai assaggiato da giocatore della Sales, visto che c’erano i lavori di rifacimento dell’erba sintetica. Il nuovo terreno è spettacolare, mi ha fatto vedere ora una foto il presidente, già dalla prossima settimana potremo allenarci lì. Fra l’altro inaugurare un campo di calcio non è una cosa da tutti i giorni. Non vedo l’ora!

In questa nuova esperienza alla Sales uno dei regali più belli che mi sono arrivati è il gemellaggio che ci ha proposto la Figc fra la nostra squadra Allievi e gli ospiti dell’albergo popolare. Per me è un’emozione particolare perché io abito proprio a un passo dal centro di accoglienza per persone senza casa dove con i miei compagni di squadra abbiamo iniziato a trascorrere i nostri martedì pomeriggio. Con i miei amici del quartiere passo tanto tempo a chiacchierare e a giocare a calcetto nel campino di piazza Tasso, la piazza dove per l’appunto affaccia l’albergo popolare, e dove ogni pomeriggio si mescolano i ragazzi della mia età con tanti senza tetto che aspettano la riapertura serale del dormitorio, più i soliti pensionati e le diverse mamme con i bambini che giocano sulle altalene e sugli scivoli. Queste persone di strada che aspettano di rientrare nell’albergo popolare ti chiedono sempre una sigaretta, a volte hanno bevuto troppo vino o troppa birra, però il resto della piazza li tratta bene: ci si saluta, si fanno due chiacchiere, perché piazza Tasso è una piazza di tutti. Così oggi, che finalmente ho avuto la possibilità di visitare l’albergo popolare, un po’ mi sentivo a casa: diversi ospiti incrociandomi nei corridoi fra le camere mi hanno riconosciuto e salutato per primi. E’ stato bello! Poi, guidati da Tommaso (l’educatore dell’albergo) io e due miei compagni di squadra ci siamo accomodati in una sala riunioni e abbiamo ascoltato la storia di Marco, un signore di 80 anni che (incredibile ma vero) quando era più giovane è stato anche allenatore di una squadra giovanile proprio della nostra Sales. Marco ci ha raccontato la sua vita prima del precipizio: geometra affermato, sposato con due figlie, calciatore dilettante arrivato anche a esordire in serie C con il Grosseto. Poi però è iniziata una valanga di eventi negativi: la relazione con un’amica della moglie, la separazione, l’attività come geometra sempre più in crisi, e infine lo sfratto dal mini-appartamento in centro a Firenze per il quale non riusciva più a pagare l’affitto. “Mi ritrovai a dormire sul divano di uno studio di geometra che oltre a qualche lavoretto mi dava il permesso di restare lì anche di notte. Ma quella non era più vita. Toccai il fondo, e decisi di chiedere aiuto alle assistenti sociali”, ci ha raccontato Marco senza nasconderci niente. Da lì l’arrivo all’albergo popolare. Nei primi mesi in una camerata insieme a diverse persone, e ora in un ambiente più confortevole, sempre dentro l’albergo ma con una cucinetta autonoma e soprattutto la possibilità di entrare e uscire praticamente senza limitazioni di orario. E’ stato bello ascoltare questa storia di caduta e di rinascita. Da Marco ho imparato l’umiltà che ha avuto nel chiedere aiuto, e la capacità di non abbattersi quando è entrato per la prima notte nel dormitorio. Se anche in un periodo di grande difficoltà riesci a restare con uno spirito positivo e a cercare il bello che c’è nonostante tutto, è lì che inizia la svolta. E la vita ti torna a sorridere.

Intervista a Filippo Biagioni – ACD Bibbiena

Mi chiamo Filippo e sono l’esterno destro d’attacco della squadra Allievi B del Bibbiena. Il mio primo ricordo legato al calcio è una fotografia di me sul passeggino allo stadio di Firenze, nella parte di tribuna più vicina al campo e alle panchine, con l’allenatore della Fiorentina Paulo Sousa, in piedi a pochi passi da me e dalla mia famiglia colorata di viola. Eh sì, nella mia famiglia sono cresciuto a pane e Fiorentina. A dire la verità però, le squadre del cuore nella mia famiglia sono due: perché accanto alla Fiorentina, forse ancora prima della Fiorentina, c’è il Bibbiena, la squadra del mio paese, dove hanno giocato sia mio nonno che mio babbo, mio zio ed ora io. Babbo mi ha iscritto al Bibbiena quando avevo 4 anni: giocavo con i bimbi di 2 anni più grandi di me, perché a 4 anni ancora non si avrebbe l’età per giocare a calcio, ma io volevo bruciare le tappe; all’inizio ero la mascotte della squadra, il cucciolo; poi, piano piano, sono diventato uno dei veterani. Undici anni di fila sempre e solo con la maglia rossoblù. Con questi colori del Bibbiena addosso ci sono cresciuto, e anche la società l’ho vista crescere insieme a me, in questi ultimi anni: il clima è sempre quello di famiglia, della squadra di paese ma l’organizzazione è sempre migliorata, e così ultimamente diversi ragazzi del Casentino hanno scelto di venire a giocare da noi, migliorando anche i risultati. La gioia più bella che ho provato in campo però, non ci crederete ma è stata una sconfitta, quella nel derby contro il Casentino Academy di due anni fa. Ero emozionato perché lo giocavo da aggregato alla squadra dei più grandi, e giocavo titolare; fu una partita intensa, finita male, ma non importa; certe partite lottate e sentite è bello giocarle al di là del risultato. E poi mi piace ricordare il gol più recente che ho fatto, nella prima giornata di questo campionato contro la Tuscar: triangolo con un compagno, palla che mi arriva sul lanciato, io che aggancio in corsa trovandomi a tu per tu col portiere; dribbling finale e gol a porta vuota. Nel mio ruolo ho la fortuna di trovarmi spesso all’appuntamento con il gol e segnare è l’emozione più bella quando si è in campo. Quello che invece mi piace meno delle nostre partite sono le esagerazioni degli adulti, genitori ma a volte purtroppo anche allenatori. Quando gli adulti se la prendono con l’arbitro, che spesso è un ragazzo della nostra età con tutto il diritto di sbagliare, mi vergogno per loro e sto male per lui. E’ un peccato che più di una volta gli adulti a bordo campo sciupino il clima delle nostre partite.

Da questa prima parte di intervista penso si sia capito che sono un casentinese appassionato della mia terra. Per questo quando i dirigenti e la Figc ci hanno proposto di gemellarci per tutta la durata della stagione con l’Ente Parco delle Foreste Casentinesi mi sono subito fatto avanti per partecipare. Con la famiglia andiamo spesso nei boschi a cercare i funghi, o nei torrenti vicino casa a pescare. Però ero comunque curioso di conoscere posti nuovi, e persone che dedicano il loro lavoro a preservare la bellezza del nostro territorio. Oggi, nel primo appuntamento del progetto, il direttore del Parco, Andrea, ha portato me ed i miei compagni di squadra Tommaso, Paolo e Giovanni vicino alla sorgente del fiume Arno, a Mulin di Bucchio, a visitare un allevamento di trote e di altri pesci a rischio estinzione, come il cavedano etrusco e il barbo tiberino. Sotto una bella pioggia autunnale siamo stati accolti da Alessandro, un uomo dell’età dei nostri genitori che ha scelto di venire a vivere in questa casetta spersa nel bosco dove l’Arno appena nato è ancora un ruscello e dove più di 100 anni fa furono costruite diverse vasche riempite con l’acqua dell’Arno dove far crescere le trote in modo protetto. Alessandro e tre suoi amici nel 2017 hanno fatto ripartire questo vecchissimo allevamento di pesci riattivando la casetta e le vasche dopo tanti anni di abbandono. Negli occhi di Alessandro, mentre ci parlava, si leggeva la passione che ha nel far crescere i pesci gustandosi tutti i passaggi della loro crescita, dalla fecondazione delle uova in una stanzetta incubatrice fino al passaggio dalle vasche dei piccoli alle vasche dei grandi. Nei giorni come questo in cui piove tanto e l’Arno si riempie di foglie portate dalla corrente che ostruiscono la bocca d’ingresso dell’acqua del fiume nelle vasche dell’allevamento, Alessandro e i suoi amici devono vegliare l’Arno giorno e notte, e ogni ora e mezzo vanno a ripulire la bocca d’ingresso delle vasche dalle foglie portate dal fiume, in modo da non interrompere mai il ricircolo dell’acqua dell’Arno nelle varie vasche. Alessandro ci ha raccontato di come tutti i sacrifici del vivere in questo posto isolato e con questi ritmi strani dettati dalle stagioni e dall’orologio biologico dei pesci di fiume sia poi ripagato da tante soddisfazioni: per esempio nel momento in cui i cavedani e i barbi diventati grandi e vengono liberati nell’Arno per ripopolare il fiume di queste specie rare; ma anche ogni volta in cui un ristorante importante della zona chiama l’allevamento per prenotare qualche trota da cucinare per i clienti più ricercati. Quattro di queste trote Alessandro le ha tolte dalla vasca per regalarle una a ognuno di noi Under 16 del Bibbiena venuti a trovarlo. Chissà le nostre mamme come saranno contente stasera quando apriranno il frigo e scopriranno la sorpresa.