Mi chiamo Alessandro e sono un centrocampista della squadra Allievi under 17 della Folgore Segromigno Piano, la società sportiva di un paesino sulla strada fra Lucca e Pescia, nel comune di Capannori. La mia passione per il calcio ha seguito un percorso strano: per i primi 4 anni, fra elementari e medie, sono stato portiere nella scuola calcio della Pieve San Paolo, la squadra di un sobborgo a sud di Lucca; avevo imparato a tuffarmi a caccia del pallone nel giardino di casa quando facevamo a passaggi e tiri in porta io, il babbo e mio fratello. Ho visto le dimensioni della porta crescere insieme a me: da quella del giardino di casa a quella del calcio a 5, poi quella del calcio a 7 fino a quella del calcio a 9. Poi però, proprio al momento di arrivare a giocare nel campo grande, alla fine delle scuole medie, scelsi di cambiare squadra e ruolo. Negli ultimi anni della mia vita da portiere mi capitò infatti di fare degli allenamenti e delle partite di prova come giocatore di movimento, e così piano iniziai ad assaporare il bello di correre con la palla al piede, di andare all’attacco, crossare, calciare in porta. Per tre anni ho fatto il terzino destro prima di cambiare squadra ed arrivare al Segromigno trasferendomi nel cuore del centrocampo.
Dopo tutti questi cambi di ruolo sono diventato una mezzala più di manovra che di inserimento, dotata di un buon passo e molto a proprio agio quando si tratta di alzare il pallone da terra per cambiare gioco o lanciare gli attaccanti in profondità. Porto anche la fascia da capitano, che gli allenatori dell’anno scorso e di quest’anno mi hanno affidato pensando probabilmente che fra i vari ragazzi della squadra sono uno di quelli più adatti a parlare con l’arbitro durante le partite. Del calcio mi piace tanto il fatto di giocare di squadra, di essere un gruppo. Mi piace la forza del gruppo nei momenti belli, come l’abbraccio dei compagni dopo il mio primo gol, 4 anni fa quando ancora giocavo nella Pieve San Paolo, ma anche nel momento della sconfitta. Ricordo la scorsa estate il nostro spogliatoio dopo aver perso la finale in un torneo a Lucca dove avevamo giocato benissimo: ricordo la delusione iniziale, ma anche le parole che ci dicemmo fra di noi per incoraggiarci a vicenda e per ricordare tutto il bello di quel torneo a parte il risultato della finale; ricordo che quella sera uscimmo dallo spogliatoio dispiaciuti ma anche orgogliosi e uniti.
In questa stagione la nostra squadra è partita molto bene ma poi si è un po’ disunita. Ora ci stiamo impegnando per ritrovare al più presto morale e risultati: dobbiamo crescere a livello di convinzione in noi stessi e di concentrazione, senza disunirci al primo episodio negativo di una partita. In questa stagione stiamo vivendo un’esperienza di squadra molto originale anche grazie al progetto Figc “Non solo piedi buoni” a cui io e i miei compagni stiamo partecipando. Fra i protagonisti del progetto ci sono anche io, insieme al mio compagno di squadra Mattia, per portare avanti la missione che la Federazione ci ha affidato invitandoci a fare amicizia con i ragazzi nostri coetanei di un centro di accoglienza di Capannori per immigrati minorenni appena arrivati in Italia. Il nostro mister Luca ci ha accompagnato nell’appartamento dove ci aspettavano Moussa, Mamadou, Ahmad, Sebou e Mario. Abbiamo fatto merenda insieme, e poi, aiutati dagli educatori del centro di accoglienza Leonardo e Mara, abbiamo ascoltato le storie di Mamadou e Ahmad, e in particolare i racconti dei loro viaggi per arrivare in Italia partendo dal proprio paese di origine. Mamadou è passato dalla Guinea al Senegal al Mali all’Algeria e alla Tunisia, attraversando il deserto su un camion e poi a piedi; infine ha attraversato il Mediterraneo su un barchino messo a disposizione dai trafficanti di persone a cui si era affidato. Ahmad invece dal Marocco in aereo si è trasferito in Turchia, e da lì interamente a piedi ha viaggiato per 7 mesi attraversando i vari paesi dei Balcani fino ad arrivare in Italia. In queste storie mi ha colpito tanto il coraggio e la determinazione che questi ragazzi della mia età hanno avuto per inseguire il sogno di una vita migliore e per sfidare i divieti di viaggiare e di attraversare un confine. Mi ha colpito sapere che qui a Capannori a due passi da casa mia ci sono ragazzi che in questi viaggi lunghissimi hanno sofferto la fame, la sete, il dolore lancinante alle piante dei piedi dopo centinaia di chilometri di cammino, e poi il caldo, il freddo, le notti in mare aperto o nel deserto, le manganellate e i respingimenti di poliziotti stranieri. In confronto agli ostacoli ed ai problemi da loro affrontati, le mie preoccupazioni e i miei problemi mi sono sembrati improvvisamente ridicoli e piccolissimi. Mi ha colpito anche il fatto che prima di oggi, pur vedendo questo appartamento e questi ragazzi da lontano girando per Capannori, io e i miei amici non avessimo mai trovato il modo di fare amicizia con Mamadou, Ahmad e gli altri, e avvicinarci alle loro storie, al loro presente fatto di scuole medie serali e di corsi professionali per trovare un lavoro con cui diventare autonomi quando il periodo di prima accoglienza finirà. Ora che la Figc ci ha creato questo collegamento è diventato tutto facile e spontaneo. Uno dei ragazzi del centro di accoglienza, Mohamed, ha già iniziato ad allenarsi con noi a Segromigno. Ma anche con gli altri ragazzi ci stiamo conoscendo in questi incontri al centro di accoglienza: speriamo questo progetto ci serva per imparare gli uni dagli altri, per diventare amici, per aiutare questi ragazzi arrivati da poco nel nostro paese a trovare un futuro qui a Capannori, e per formare tutti insieme (come ha scritto il mio compagno Mattia in un bigliettino alla fine dell’incontro di oggi) una nuova famiglia.