Mi chiamo Klajdi, sono un attaccante della squadra Juniores del Capostrada e il primo ricordo calcistico che ho sono gli highlights di Cristiano Ronaldo. Come per tanti altri ragazzi della mia età in giro per il mondo, CR7 è stato l’eroe d’infanzia, quasi come un personaggio dei cartoni animati. Oltre all’aspetto tecnico in sé, di Cristiano mi piacevano lo stile, le movenze, e la sua biografia piena di segni del destino, come il tentato aborto della mamma all’epoca poverissima che per fortuna non riuscì.
La passione per il calcio è nata anche grazie a mio padre, tifosissimo del Milan: babbo era fissato col calcio italiano già da quando abitava in Albania, negli anni 80; allora nel mio paese d’origine c’era il regime, e i miei parenti mi hanno raccontato che riuscivano a sintonizzarsi sui canali italiani per vedere le partite orientando l’antenna in un certo modo, anche se era illegale. Io stesso ho vissuto due anni della mia infanzia in Albania, all’inizio delle elementari, seguendo i genitori dopo essere nato a Pistoia. Poi siamo tornati tutti insieme definitivamente a Pistoia, ed è a quel punto che ho deciso di iscrivermi a una squadra di calcio. Scelsi il Capostrada, e non me ne sono più andato. Otto stagioni consecutive, alcune delle quali difficili dal punto di vista personale, perché tre anni fa il livello della squadra era salito e pure di parecchio. Cominciammo a partecipare ai campionati regionali che facciamo tuttora, arrivarono ragazzi molto bravi e io finii in panchina. In quei due anni giocai molto poco e pensai anche a cambiare squadra. Devo ringraziare con il senno di poi il mister di allora, mister Borri, che per me è stato quasi un secondo padre, e non è una frase fatta. Il mister mi teneva in panchina ma non faceva finta di niente. Mi rimproverava durante gli allenamenti: rimproveri fatti con il cuore, rimproveri con tanti consigli dentro; io me ne accorsi che il mister mi rimproverava perché voleva il mio bene, non perché voleva fare il gradasso. Forse mi voleva sfidare in senso buono. Fatto sta che ci riuscì, a tirare fuori il meglio di me. In quei due anni misi pian piano da parte la mia timidezza, imparai a metterci più grinta e meno paura di sbagliare, sia in campo che fuori. E i risultati sono arrivati.
Oggi sono io, o almeno dovrei esserlo, il bomber della squadra Juniores, e ho anche la responsabilità di portare la fascia da capitano al braccio. Non sono una prima punta fisica: a dire la verità vivo quasi più per il dribbling che per il gol. Però di gol da raccontare fatti in questi ultimi anni ne ho tanti: scelgo una rete fatta in una partita che sapeva un po’ di leggenda, l’anno scorso in casa contro il Meridien. Il campo era ai limiti della praticabilità, fango incredibile, e al momento del fischio d’inizio continuava a piovere. Eppure gli spalti erano pieni di gente venuta a vederci. A un certo punto ci furono un cross e una conclusione di un compagno che andò a sbattere contro il palo: io fui il primo sulla ribattuta e colpii d’istinto di prima intenzione, con il sinistro che fra l’altro non è nemmeno il mio piede forte: ma andò bene, la palla entrò. Un gol speciale in uno scenario epico. Menomale che l’arbitro non la rinviò per maltempo.
In questa stagione iniziata da poco, è iniziata per noi della Juniores del Capostrada anche il progetto “Non Solo Piedi Buoni”. Il gemellaggio che la Figc ha pensato per la nostra squadra è con il carcere di Pistoia: aspettiamo ancora l’ultimo via libera dalla direzione della casa circondariale, e poi tutti i mercoledì pomeriggio ci alterneremo in delle calcettate speciali in carcere, con successive chiacchierate e racconti di storie di vita nostri e dei detenuti che saranno insieme a noi in questo progetto. Io e un mio compagno di squadra abbiamo già fatto un po’ di riscaldamento, se così si può dire: Riccardo, l’esperto volontario in carcere che ci sta facendo da guida in questo percorso lungo un’intera stagione, ci ha accompagnato in un laboratorio meccanico a due passi dalla stazione di Pistoia dove alcuni ragazzi minorenni inviati dal tribunale dei minori o dalle assistenti sociali fanno un corso gratuito di saldatura. Dentro questo laboratorio abbiamo conosciuto i giovani allievi di questo corso, insieme al loro tutor e al loro maestro. I ragazzi e il maestro Enrico, che si ritrovano lì per il corso tutti i pomeriggi dei giorni feriali da settembre a gennaio, ci hanno mostrato alcune delle realizzazioni in ferro fatte dagli allievi: una scala, una rastrelliera per biciclette, un tavolino per bambini piccoli. Non mi aspettavo che un luogo così, nascosto nel centro di Pistoia, fosse un luogo dove ragazzi minorenni scontano una pena. Riccardo, il tutor Luis e gli stessi allievi ci hanno spiegato con semplicità e chiarezza il meccanismo della cosiddetta messa alla prova, che porta alcuni minorenni (condannati per reati spesso connessi allo spaccio di droga o a piccoli furti) a passare i loro pomeriggi a darsi da fare per imparare un mestiere, con il rischio del carcere minorile vero e proprio in caso di scarso impegno in questa missione che il giudice ha affidato a loro. Abbiamo invitato i ragazzi del corso di saldatura a una nostra partita in casa: uno di loro fra l’altro conosceva già bene il Capostrada. In questo pomeriggio abbiamo imparato la bellezza di associazioni e di persone che nella nostra città lavorano ogni giorno per cambiare il film della vita di adolescenti incasinati, tante volte vittime di contesti familiari difficilissimi. “Prima ancora che insegnargli a saldare, io a questi ragazzi ogni giorno faccio di tutto per volergli bene”, ci ha detto il vecchio maestro Enrico. Speriamo di metterci lo stesso cuore e la stessa fiducia senza pregiudizi, quando fra due settimane inizieremo a fare amicizia con i detenuti in carcere.