Dietro la collina dell’ospedale di Siena sorge uno dei quartieri della città del palio di più recente costruzione. Si chiama San Miniato: è stato edificato a partire dalla fine degli anni 70, con tanti palazzi di edilizia popolare alti e squadrati. Insieme alle abitazioni sono nati i servizi, e fra questi il campo sportivo del rione, inaugurato nel 1981 e rimasto negli anni sempre operativo e sempre nella solita collocazione, al di là delle tante migliorie apportate (come i campi sussidiari e il fondo in erba sintetica). A giocarci in casa, nell’arco di questi 40 anni, è stata sempre la stessa squadra, con la maglia neroverde e lo stesso nome (San Miniato) del quartiere popolare dove l’impianto sportivo affonda le sue radici. “La Siena quella vera, quella dei contradaioli e dei senesi più orgogliosi, ormai si trova più in quartieri periferici come questo che nel centro storico sempre più pieno di affitti a turisti e studenti”, mi fa da cicerone Simone Gasperini, che di lavoro fa il tecnico di laboratorio all’università e che nel tempo libero si fa in quattro per dirigere il San Miniato calcio. “Abbiamo tutte le categorie giovanili, dai primi calci alla Juniores, e anche una squadra dilettantistica di Prima Categoria dove i nostri ragazzi che vogliono continuare a giocare da noi anche da adulti trovano il loro habitat naturale”. In questo pomeriggio plumbeo che minaccia sempre più di scatenare un temporale sono venuto qui a Siena per conoscere la squadra Juniores del San Miniato: Simone e il mister hanno convocato i ragazzi al campo con tre quarti d’ora di anticipo rispetto all’orario solito degli allenamenti, per dare modo alla squadra di parlare con me e con Marco Amadori, responsabile di una squadra di calcio super-speciale con cui i ragazzi del San Miniato saranno invitati a “gemellarsi” per tutta la stagione nell’ambito del progetto “Non Solo Piedi Buoni”. Io e Marco troviamo la squadra nello spogliatoio ad aspettarci in religioso silenzio. Tocca a me rompere il ghiaccio e presentare a grandi linee lo spirito di impegno civico e di città solidale che sta dietro a questa mission particolare proposta dalla Figc ai ragazzi del San Miniato e di altre 9 squadre giovanili toscane. Poi passo la palla a Marco che entra nel vivo della presentazione, raccontando ai ragazzi chi sono i fuoriclasse della squadra di calcio a 7 delle Bollicine: “Siamo una squadra i cui giocatori sono ragazzi disabili cognitivi, che si rivolgono alla nostra associazione non solo per fare sport, ma anche per svolgere tante altre attività che cercano di farli sentire sempre di più in armonia con loro stessi e con gli altri al di là del proprio handicap. La nostra proposta in collaborazione con la Figc sarebbe ospitare nei prossimi venerdì sera fino a maggio alcuni di voi del San Miniato Juniores, a piccoli gruppi, per giocare a calcio con i nostri ragazzi speciali presso il campo sportivo del Rosia di cui da diversi anni siamo ospiti. Sono convinto che sarà un’esperienza divertente e formativa per tutti, per imparare a conoscere le diversità e il mondo della disabilità, le tante persone che si prendono cura dei nostri ragazzi, e per imparare da loro la genuinità e la spontaneità nell’esprimere i sentimenti. Tanti dei miei giocatori quando sono felici in campo vanno ad abbracciare il mister e gli dicono: “Ti voglio bene mister!”. Noi “normali” il più delle volte ci vergogniamo a dire a un adulto “ti voglio bene”, anche se in realtà quel sentimento lo proviamo: pensiamo che sia una cosa troppo sdolcinata, o troppo da bambini, o che ci faccia fare brutta figura, in realtà sono tutte nostre paranoie. I ragazzi delle Bollicine che presto conoscerete vi incoraggeranno a mettere da parte queste paranoie per giocare (e a vivere) sempre a cuore aperto”.
I ragazzi della Juniores del San Miniato annuiscono. Incassano anche l’incoraggiamento del mister e di un dirigente, e poi si fiondano in campo per l’allenamento. Io e Simone continuiamo a chiacchierare nella stanzetta in prefabbricato adibita a sede sociale, mentre fuori dopo pochi minuti si scatena il diluvio universale. Una pioggia clamorosa che costringe i ragazzi e il mister a interrompere l’allenamento sul nascere per fare una doccia calda e scappare a casa all’asciutto prima possibile. Un dirigente del San Miniato mi rimedia chissà dove e chissà come uno strano ombrello color rosa shocking e mezzo rotto, che mi permette in qualche modo di affrontare la tempesta. Simone mi dice di raggiungerlo nel parcheggio. “Ti do io un passaggio alla stazione!”. Faccio qualche passo dentro il temporale, vedo una macchina col motore acceso davanti ai cancelli. Apro in qualche modo la portiera e mi ci infilo dentro, già zuppo come un pulcino nonostante l’ombrello rosa shocking. “E te chi sei?”, mi accoglie un uomo sconosciuto alla guida dell’automobile. “Ah, ma questo non è Simone. Mi scusi…”. “Macché Simone, dai non prendere altra acqua. Ti ci porto io alla stazione, scherzi?”. Avviso Simone e accetto volentieri quest’altro passaggio. L’autista sconosciuto si presenta, e ne nasce una conversazione rocambolesca e bellissima: “Sono il babbo di Giulio, la mezzala della squadra. Ora fra poco arriva anche lui sulla Panda, almeno spero. Complimenti per questo progetto che hai proposto ai ragazzi. Io e il mi figliolo siamo contradaioli del Nicchio, che un vince più un palio da 26 anni. La contrada per noi è una scuola di vita: lì si impara a stare insieme, a fare villaggio, a vivere la città e a sentirsene parte. Ma il villaggio è davvero bello solo se ha le porte aperte a tutte le diversità. Sono convinto che andando a conoscere e a voler bene alla diversità dei ragazzi delle Bollicine, Giulio e i suoi compagni impareranno ancora di più a essere senesi e ad amare la loro città, facendola diventare ancora più bella”.